Ucciso per un parcheggio, oggi il processo

Ucciso per un parcheggio, oggi il processo

Alessia Marani

È arrivato il giorno del giudizio per i tre membri della famiglia Calisti, per Massimo Di Placidi e Alessandro Ciriaci, accusati dell’omicidio di Giuseppe Silvestri, l’imprenditore edile brutalmente ucciso la sera del 5 novembre scorso nel parcheggio del ristorante «Re per una notte» di via della Magliana. Oggi la discussione con rito abbreviato in camera di consiglio davanti al gup Barbara Callari, a piazzale Clodio. «Mio marito - racconta la moglie della vittima, Loredana - fu ucciso senza pietà. I cinque organizzarono una spedizione punitiva in piena regola, armati fino ai denti. Tutto per una banalissima lite di viabilità che Pino aveva tentato inutilmente di sedare poco prima. No, questo lutto non potremo mai accettarlo. Pino è morto per nulla e i miei figli da allora non si sono più ripresi. Chiediamo giustizia».
La sera di quel maledetto 5 novembre amici e parenti si danno appuntamento al «Re per una notte» per festeggiare il compleanno di Loredana. Lory, la sorella, il marito Pino e i loro due figli, Alessandro di 11 anni e Attilio, di 8, sono su una Mercedes incolonnati per entrare nel parcheggio del ristorante. «Eravamo gli ultimi della fila - ricorda Loredana - a un certo punto le auto davanti a noi si bloccano. Mio cognato Piero deve averci impiegato un po’ troppo per fare manovra e un uomo a bordo di una Golf ha cominciato a dare in escandescenza. Noi là dietro non vedevamo granché. Sentivamo solo urlare. Addirittura pensavamo che qualche bambino fosse scappato al controllo dei genitori. Abbiamo accostato la macchina e ci siamo precipitati per vedere che cosa succedeva. Invece c’erano i miei cognati che discutevano con questo tizio: puzzava, era ubriaco. Pino ha cercato di dividerli, quello per tutta risposta gli ha infilato una mano in bocca e l’ha scaraventato a lato. Poi ha farfugliato qualcosa a Piero ed è andato via. Era solo il preludio». L’atmosfera che doveva essere festosa si fa pesante. Intorno alle 22,15 il custode del parcheggio entra in sala e avvisa i Silvestri che lì fuori quell’uomo è tornato, ma accompagnato da altri. Sono a bordo di due Golf e fanno la ronda. Hanno chiesto anche di sapere quali sono le macchine degli invitati. «A quel punto mio marito e i miei cognati - aggiunge Loredana - chiamano il 113. Arriva una volante. I poliziotti danno un’occhiata in giro. Le Golf non si vedono, tutto sembra tornato alla tranquillità. Gli agenti se ne vanno». A mezzanotte la tragedia. «Eravamo tutti preoccupati - aggiunge Lory - gli uomini facevano la spola fuori dal locale per vedere se era tutto a posto. Ricordo che Pino teneva in braccio nostro figlio più piccolo, ormai assonnato. Poi l’ha dato a me, dicendomi che andava a fumare una sigaretta. L’ho rivisto morto». Fuori in quei pochi istanti si scatena l’inferno. Il «commando» - formato da Luciano Calisti (l’uomo della lite), il fratello Andrea, il nipote Gianluca e i due «compari» Di Placido e Ciriaci arrivati a dare man forte - è passato all’azione. «Tenevano in pugno spranghe, tubi di metallo, avevano coperto le targhe con lo scotch - dice ancora la signora Silvestri - hanno ferito anche mia suocera. È stata una violenza brutale, inaudita. Mio marito è stato persino investito, gli hanno sparato prima a una gamba, lo hanno colpito violentemente alla nuca e quand’era a terra l’hanno finito con un colpo alle spalle che gli ha trapassato prima un polmone, poi il cuore, poi l’altro polmone. Tutto sotto gli occhi di mio figlio più grande che era lì, nascosto dietro una siepe». I cinque fuggono. Verranno prima arrestati i due fratelli Calisti, poi Gianluca si è costituito dopo una breve latitanza. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti la pistola l’avrebbe portata Di Placido, il primo a sparare, che poi l’ha passata a Gianluca, l’esecutore materiale. «Andrea Calisti, anche lui padre di due figli - racconta ancora Loredana - tempo fa mi ha scritto una lettera chiedendomi perdono. Paragonandosi persino a mio marito, bravo padre di famiglia e bravo lavoratore. Per noi è stata un’offesa». Alex frequenta la prima media, Attilio la terza elementare, Lory è una collaboratrice domestica. «La nostra vita è segnata - conclude - siamo seguiti dagli psicologi. Alex è ossessionato, vive col terrore negli occhi. E dice sempre che ha paura di perdere anche me. Due giorni dopo il delitto il compagno di mia suocera è morto per un infarto.

È atroce pensare che cinque uomini adulti abbiano potuto commettere una cosa simile e per una sciocchezza. E che nessuno si sia posto il problema di che cosa stesse facendo in quel momento. Questa morte, lo ripeto, è inaccettabile». Oggi, probabilmente, la sentenza.

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