Ucciso in uno scontro a fuoco il capo di Sendero Luminoso

Victor Aponte Sinalagua, nome di battaglia «Clay», era era diventato il leader dopo l’arresto del fondatore, Abimail Guzman

Alberto Pasolini Zanelli

da Washington

Se la cosa può consolarci, dunque, il terrorismo su grande scala non è soltanto islamico. Evidentemente la scoperta invece ci allarma, o almeno allarma chi sembra avere perduto di vista ultimamente l’America Latina, dove tante cose stanno ribollendo nella disattenzione mondiale e in cui riaffiora il pericolo di un estremismo di sinistra che si riallaccia agli anni terribili di cui qualcuno ha nostalgie letterarie legate alla memoria di Ernesto Che Guevara e dimentica non solo i metodi e i fini di quest’ultimo ma anche i nomi degli altri protagonisti, da Pinochet a Castro, ai generali argentini responsabili di migliaia di desaparecidos, alla sanguinaria guerra civile in Guatemala.
La consolazione è che di uno di questi grandi terroristi l’hanno «preso». In Perù. Preso non vuol dire catturato, perché quello su cui le forze dell’ordine hanno messo le mani è il cadavere di Victor Aponte Sinalagua, nome di battaglia Clay, capo militare di Sendero Luminoso. È la più grossa organizzazione terroristica nel mondo al di fuori del Medio Oriente. Ha ispirazione dichiaratamente «maoista», tormenta il Perù da oltre vent’anni ed è responsabile, secondo il conteggio un po’ troppo esatto del ministero dell’Interno di Lima, di 34.500 omicidi: che, sommati alle vittime della repressione e ai passanti coinvolti negli scontri, fa un totale di oltre 70mila.
Il comandante Clay era considerato l’attuale capo militare di Sendero Luminoso, che godeva di una certa autonomia anche per il fatto che il suo fondatore e capo politico, Abimail Guzman, si trova in carcere da quattordici anni, dopo essere stato catturato e condannato all’ergastolo sotto il governo di Alberto Fujimori. Quest’ultimo si trova a sua volta in carcere, a Santiago del Cile: gli pende sul capo l’estradizione a Lima, ove l’attende un processo per varie «illegalità» commesse durante la sua presidenza, tra cui «violazione dei diritti civili» nella lotta contro Sendero Luminoso. Se il curioso procedimento andrà avanti, potrebbe anche accadere che Guzman sia chiamato alla sbarra in un processo Fujimori come teste d’accusa. Fra i capi di imputazione dell’ex leader politico c’è anche quello di avere tenuto il capo dei terroristi per alcuni anni chiuso in una gabbia. Fu per ottenere la sua liberazione che un nutrito commando di militanti di Sendero Luminoso occupò, dieci anni fa, l’ambasciata giapponese durante un ricevimento e tenne in ostaggio centinaia di persone.
Sinalagua, evidentemente, non potrà comparire. E poi lui in carcere non c’è mai stato. Fino all’altro giorno, anzi, era sempre riuscito a farla franca, anche quando organizzò, nel 2003, il sequestro di 71 dipendenti di una impresa argentina, Techinta, o quando organizzò, nel dicembre scorso, un’imboscata alla polizia che costò la vita a otto agenti a Aucayacu. L’«ultima raffica» l’ha sparata in uno scontro con la polizia nella zona di Tingo Maria, a circa seicento chilometri da Lima. Dove ha avuto la peggio.
Episodi che dimostrano come la guerriglia sia attiva, o meglio sia tornata ad essere attiva in Perù dopo essere stata ridotta a dimensioni molto minori, se non completamente sradicata, dai metodi duri di Fujimori, ma anche che l’incarcerazione di Guzman non l’ha decapitata. Quest’ultimo, anzi, è tornato d’attualità, perché gli devono rifare il processo: uno di quei procedimenti che si trascinano per mesi e hanno riorientato su di lui i fari della pubblicità. Guzman è tornato a far parlare di se stesso con il nome di battaglia che si era dato quando era alla macchia, «Presidente Gonzalò» e naturalmente si autodefinisce: «Sono un combattente rivoluzionario e non accetto di essere definito un terrorista» ma anche la «quarta spada del marxismo», dopo Marx, Lenin e Mao.


Sendero Luminoso si è mantenuto a lungo autofinanziandosi con le rapine, ma ultimamente pare avere avviato una collaborazione economica con organizzazioni di narcotrafficanti. Il suo ritorno di attività è confermato anche dall’attentato compiuto a Lima il 20 marzo 2002, l’esplosione di una bomba in un parcheggio davanti all’ambasciata americana, dieci morti e trenta feriti.

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