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Udc ligure, più che un partito un grand hotel con porte girevoli

Udc ligure, più che un partito un grand hotel con porte girevoli

(...) Del resto, il ragionamento udicino non fa una piega, se visto dal punto di vista, come dire?, mercantilistico. Chiaramente, alleandosi con la sinistra, l’Udc perde un po’ di voti moderati, ma altrettanto chiaramente ha più possibilità di vincere. In Comune a Savona, ad esempio, ma anche in Regione, Monteleone - uno che sa fare benissimo i conti politici - ha puntato sul cavallo vincente, senza lasciarsi abbagliare da discorsi sui «valori non negoziabili», che poi si negoziano, altroché, o su futuribili e improbabili Terzi Poli, in compagnia di finiani o liberali con più parole nelle sigle dei partiti che voti. Ma, furbissimi, quelli dell’Udc, quando si spostano più a Ponente, si alleano anche con il Pdl. Che, da Albenga in là, vince un po’ di più.
L’Udc ligure, sembra un po’ il grand hotel con le porte girevoli. E cambia protagonisti un po’ come le collezioni degli stilisti, c’è una classe dirigente per ogni stagione. Anzi, mi scuso anticipatamente se me ne dimentico qualcuna o se inverto la scansione temporale di qualcuno degli ingressi o delle uscite, ma persino io che generalmente godo di buona memoria, di fronte all’Udc ligure mi arrendo senza combattere.
In principio, furono Cdu e Ccd, con due gruppi consiliari autonomi, due dirigenze autonome e due rimborsi autonomi, anche dopo l’unificazione dei partiti. C’era Gianni Barci, ora uomo dell’organizzazione dei biasottiani; c’era Vittorio Adolfo, poi parlamentare cicidino a Roma e attualmente capo dei Popolari Liberali di Giovanardi e Rotondi, politicamente il più coraggioso di tutti, e c’era Fabio Broglia, poi diventato biasottiano pure lui, che era un po’ il sinonimo di Udc nel Tigullio e dintorni. Mentre a Roma toccò prima a Gianni Cozzi e poi alla candidatura di Roberto Suriani, che ebbe la meglio su quella di Gianluca Buccilli nel collegio di Albaro e del Levante, riuscendo a perderlo.
Poi, la rivoluzione. Cambiò tutto e Casini si assicurò un fuoriclasse del calibro del professor Vincenzo Lorenzelli, uomo dell’Opus dei, scienziato di fama internazionale, oggi presidente della Fondazione Gaslini e del campus biomedico di Roma, ma anche ex numero uno della Fondazione Carige. Insomma, una carta pesantissima, tanto che Lorenzelli diventò anche un pezzo grosso nazionale della costituente che doveva portare al Partito della Nazione. A cui un certo punto, chiese di aderire anche la prima dei non eletti del Pdl all’Europarlamento Susy De Martini e inizialmente fu ben accolta, poi le spiegarono che non si poteva con motivazioni invero un po’ pasticciate.
Intanto, in Regione Liguria e nel partito, gruppi e segretari cambiavano come le stagioni: dopo Broglia, emigrato con Follini, ci fu l’epoca di Nicola Abbundo in visita dal Pdl e di Matteo Marcenaro proveniente dalla Lista Biasotti; e poi quella di Sergio Cattozzo, storico esponente buttiglioniano; e ancora quella, fra i giovani, dell’ottimo Luca Mazzolino, uno che ha sempre tenuto a Sampierdarena e nel movimento giovanile, insieme a Simone Femia in Valpolcevera, la barra fissa al centro, guardando con attenzione a Luca Volontè come riferimento nazionale.
Altro giro, altri dirigenti. Il ciclone Monteleone portò con sè i voti di Rosario e i suoi uomini: Alfonso Gioia, presidente del consiglio provinciale, una manciata di consiglieri provinciali, comunali e municipali (alcuni dei quali già partiti per altri lidi), un organizzatore come Massimiliano Tovo consigliere di Sant’Olcese, e le mani sul partito. Poi, Monteleone si candidò per Roma, ma Pier Ferdinando Casini scelse di optare per la sua elezione proprio per la Liguria, stoppando i sogni di Rosario, poi sistemato sullo scranno di presidente del consiglio regionale ligure. Pier, poi, un giorno, in un incontro al teatro della Gioventù confidò: «Non mi fidavo fino in fondo. E sbagliavo. Rosario è davvero uno di noi».
Ma, nel frattempo, al Grand Hotel Udc Liguria continuava il turn-over: in Parlamento, ad esempio, entrava Gabriella Mondello dal Pdl, portando ovviamente con sè anche Giovanni Boitano oggi assessore regionale; in Regione Liguria diventava capogruppo udicino Marco Limoncini, ex duro leghista, ex sindaco di Cicagna e tuttora anche consigliere provinciale, eletto con la Lega, ma che ha portato i voti del Carroccio nel gruppo dell’Udc; al Senato aderiva l’ex Margherita, ex Democratico ed ex rutelliano Claudio Guastavino, che portava con sé anche la fedelissima Carmen Patrizia Muratore, ex consigliera regionale dell’Italia dei Valori. Mentre nel gruppo Udc del Senato, pur senza essere udicino, ma vicesegretario nazionale del Partito liberale italiano, si sistemava Enrico Musso.
Ecco, finora la storia è questa e spero di non essere incorso in errori od omissioni, visto che sono andato a mente. La prossima puntata, almeno così sperano i mussiani, potrebbe essere l’ingresso a pieno titolo del senatore e la sua candidatura a sindaco con il simbolo dell’Udc, su cui però il segretario regionale Monteleone sembra tutt’altro che entusiasta, per usare un eufemismo.


Nei giorni scorsi ho provato a chiamare un caro amico deputato udicino nell’alto dei cieli di quelli che contano a Roma, chiedendogli lumi, per cercare di capire se davvero Musso entrerà e se questo sarà il segno dell’ennesima porta girevole che si apre e che si chiude nell’Udc ligure. Il mio amico, sconfortato, ha gettato la spugna: «Credimi, ho rinunciato a capirci qualcosa». Noi, pure.

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