Gli Eurobond assomigliano all’Ercolino sempre in piedi, quel pupazzo gonfiabile che negli anni Sessanta i bambini tempestavano di cazzotti senza mai metterlo al tappeto. Nel recente vertice di Parigi, Nicolas Sarkozy e Angela Merkel hanno cercato di far calare la pietra tombale sulle obbligazioni made in Eurolandia. È un giocattolino pericoloso, hanno detto nella sostanza Frau Angela e Sarko: troppi gli squilibri di bilancio, troppi i rischi per quei Paesi, cioè Francia e Germania, che sarebbero chiamati a garantire per tutti.
Insomma: discorso chiuso? Pare di no. Sbarrata la porta dall’asse franco-tedesco, gli Eurobond rientrano dalla finestra della Commissione europea. Annuncio di ieri del commissario agli Affari economici e monetari, Olli Rehn: Bruxelles sta preparando uno studio di fattibilità sull’emissione di Eurobond. Replica quasi in tempo reale della Merkel: «Noi non li vogliano». Già. Però si va avanti lo stesso. Si studia. Si prova, perlomeno, a simulare l’efficacia di uno strumento che a detta di molti, a cominciare dal ministro dell’Economia Giulio Tremonti, potrebbe aiutare a risolvere la crisi del debito sovrano.
Altro che progetto ormai abortito, come vorrebbe anche la Bce. Sull’argomento, la banca centrale esprime da sempre lo stesso parere con identico tono liquidatorio: gli Eurobond sono un palliativo che cura «i sintomi, non le cause dei problemi», ha detto ieri Juergen Starck, che oltre a essere uno dei componenti più influenti del board dell’Eurotower è anche tedesco. Del resto, l’alibi prêt-à-porter della stabilità dei prezzi permette alla Bce di mettere becco su ogni cosa.
Con la decisione di non accantonare l’idea, e di non escludere anzi la possibilità che lo studio si trasformi in una proposta di legge, Bruxelles si muove in maniera eccentrica rispetto all’ortodossia franco-tedesca. Sotto il profilo politico, non è questione di poco conto. Parigi e Berlino stanno da tempo dettando l’agenda comunitaria, imponendo dall’alto decisioni prese durante i periodici rendez-vous bilaterali. Questo modo di procedere toglie competenze e prerogative finora nelle mani dell’esecutivo comunitario. E nella capitale belga cresce il malumore.
Lo «strappo» consumato dalla Commissione Ue nei confronti di Parigi e Berlino può essere quindi un modo per riappropriarsi dell’autonomia decisionale. E poi, da un punto di vista più tecnico, traspare una differenza di valutazione sulle conseguenze da Eurobond. «Questo tipo di obbligazioni - ha sottolineato Rehn - avrebbero lo scopo di rafforzare la disciplina fiscale e aumentare la stabilità dell’euro zona». Insomma: contrariamente ai timori di Francia e Germania, gli Eurobond sono invece per Bruxelles la chiave per mantenere sotto controllo i conti pubblici.
Poi, certo, non va dimenticato cosa significherebbe l’introduzione delle euro-obbligazioni per le casse di Berlino: fra i 33 e i 47 miliardi di euro all’anno in più di interessi a causa del ritocco al rialzo (tra l’1,6 e il 2,3%) del differenziale di rendimento tra i bund e gli altri titoli decennali europei. Un assegno che una Merkel in calo di consensi non può oggi permettersi di staccare.
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