La Ue non ama lavorare con Prodi

Livio Caputo

Tra le tante menzogne usate dall’Unione nella sua campagna elettorale, ce n’è una particolarmente sfacciata: che nelle grandi capitali si attenda con ansia la sconfitta della Casa delle libertà per instaurare un rapporto più costruttivo con l’Italia. Con buona pace dei leader del centro-sinistra, è vero esattamente il contrario. Con qualche inevitabile eccezione (per esempio, la Spagna di Zapatero), nei principali Paesi occidentali ci si augura che Silvio Berlusconi riceva un secondo mandato, perché con lui l’Italia è diventato un Paese più affidabile e coerente. Perfino a Bruxelles, già «patria» di Romano Prodi, una Commissione più liberista e meno ingessata di quella del Professore teme l’eventualità di un governo di centro-sinistra, in cui europeisti all’antica dovranno convivere con euroscettici di estrazione marxista, che hanno appena finito di dimostrare contro la direttiva Bolkestein. Comunque, pochi in Europa sono ansiosi di avere di nuovo a che fare con Prodi, che ama esibire i suoi cinque anni da Presidente come un fiore all’occhiello, ma che in realtà ha lasciato un ricordo di sé men che mediocre.
Per sostenere la loro tesi, i leader del centro-sinistra si rifanno alle corrispondenze dei soliti giornali, dall’Economist a Le Monde allo Spiegel, che hanno sempre avversato la Casa delle libertà. Ma la posizione di questi organi di stampa è molto diversa, e spesso addirittura opposta, a quella dei rispettivi governi, che invece sono, se non proprio «tifosi», almeno simpatizzanti di Berlusconi. È da notare che questi simpatizzanti si trovano a sinistra come a destra. Tra loro c’è sicuramente Tony Blair, che è grato al nostro presidente del Consiglio per l’appoggio ricevuto nella vicenda irachena, contento che l’Italia abbia assunto in Europa una posizione più indipendente dall’asse franco-tedesco e che non perdona al centro-sinistra italiano il fatto di averlo prima messo sugli altari per il suo riformismo e poi scaraventato di nuovo nella polvere per la sua politica estera. Ma c’è, altrettanto certamente, anche Angela Merkel, collega nel Partito popolare europeo, ospite a Roma quando era ancora all’opposizione, che come capo di una grande coalizione imposta dall’esito elettorale sta sperimentando quale zavorra possano rappresentare i socialisti quando bisogna affrontare le grandi riforme strutturali.
Per completare il panorama europeo, pro Berlusconi sono sicuramente il nuovo governo di centro-destra polacco, il governo danese preso di mira dai fondamentalisti islamici, il governo austriaco che in questo momento assicura la presidenza dell’Unione. Più incerta è la posizione di Chirac, che non ha mai avuto un grande feeling con il nostro presidente del Consiglio ed era diventato una specie di icona dei pacifisti nostrani, ma a favore della Casa delle libertà è senza dubbio l’astro nascente del centro-destra e probabile prossimo presidente della Repubblica, Nicolas Sarkozy.
Se poi guardiamo fuori dall’Unione, le simpatie per Berlusconi sono ancora più accentuate. Per il centro-destra è senz’altro Vladimir Putin, che oltre ad avere con il presidente del Consiglio un solido rapporto personale gli deve anche, almeno in parte, l’ingresso della Russia nel Consiglio politico della Nato. Per il centro-destra è Israele, riconoscente alla Casa delle libertà non solo per una svolta quasi a 180 gradi della politica mediorientale italiana, ma anche per l’inclusione di Hamas nella lista europea delle organizzazioni terroristiche. Tra i politici di Gerusalemme c’è tanto timore che a Roma possa insediarsi di nuovo un governo filopalestinese, magari sostenuto da parlamentari come il rifondarolo Ferrando che non riconoscono neppure lo Stato ebraico, che Francesco Rutelli ha ritenuto necessario andare a rassicurarli: e - udite, udite - è stato perfino costretto ad ammettere che la svolta berlusconiana è stata giusta.
Su chi sostenga l’amministrazione Bush, non è neppure il caso di discutere: da un lato, il presidente americano non perde occasione per fare l’elogio dell’Italia di Berlusconi e della sua lealtà nei confronti degli alleati, tanto che - per riconoscimento unanime - i rapporti transatlantici non sono mai stati migliori di oggi; dall’altro, la Casa Bianca non può che diffidare di una coalizione che nel suo programma ha l’immediato ritiro dall’Irak, fa appena un fugace accenno alla Nato e in cui l’antiamericanismo è uno dei sentimenti più diffusi.


Conclusione? Quando i vari Prodi e D’Alema sostengono che una vittoria del centro-sinistra gioverebbe alla posizione internazionale dell’Italia, mentono (sapendo probabilmente di mentire): in campagna elettorale sono ammesse molte cose, ma non andare contro la realtà dei fatti.

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