La Ue non fa sconti alle statali: «In pensione a 65 anni dal 2012»

Le impiegate pubbliche - un milione e ottocentomila donne, metà delle quali lavorano nella scuola - dovranno andare in pensione a 65 anni a partire il 1° gennaio 2012. La vicepresidente della Commissione europea Viviane Reding non ha concesso sconti: la pronuncia della Corte di giustizia Ue, che prevede l’equiparazione dell’età di pensionamento fra dipendenti pubblici, uomini e donne, deve essere rispettata. Inutilmente, il ministro del Welfare Maurizio Sacconi ha tentato ieri di negoziare una soluzione più «morbida»: la Reding ha negato il concetto stesso di entrata a regime graduale, affermando che il 2012 è il massimo che si possa concedere rispetto all’immediata applicazione della sentenza. E Sacconi, cifre alla mano, ha ricordato che ogni giorno di ritardo rispetto alla sentenza può costare all’Italia sino a un massimo di 714mila euro.
Nessun provvedimento punitivo è stato ancora preso dalla Commissione, ma non si possono certo rischiare multe miliardarie. «L’Italia ha avuto vent’anni di tempo per mettersi in regola, cioè da quando sono state adottate le direttive europee sulla parità, anche retributiva, fra uomini e donne - ha affermato la Reding - e ora dovrà mettere in ordine il proprio sistema. In democrazia le sentenze si rispettano. Abbiamo molto discusso con il ministro Sacconi, e siamo arrivati alla conclusione che bisogna conformarsi alla sentenza».
La patata bollente finisce così nelle mani del Consiglio dei ministri, che discuterà della questione già dopodomani, giovedì. Lo stesso Sacconi ha ammesso che l’unico veicolo legislativo a disposizione è la manovra correttiva che sta incominciando il suo percorso parlamentare in Senato. È da notare che l’Europa non chiede l’innalzamento dell’età di pensione per le impiegate pubbliche, ma lo stesso trattamento fra uomini e donne: paradossalmente, si potrebbe anche ridurre l’età di pensionamento degli uomini. Ipotesi, quest’ultima, suggerita dall’ex ministro del Lavoro Cesare Damiano (Pd), con conseguenze disastrose sui conti pubblici.
Dunque, si dovrà accelerare rispetto al lungo periodo di transizione che era stato fissato in precedenza: un percorso molto graduale, che avrebbe condotto le dipendenti della pubblica amministrazione a pensionarsi a 65 anni nel 2018. «Non appena decisa in Consiglio dei ministri la linea da tenere, ne discuteremo con i sindacati - ha confermato Sacconi al termine dell’incontro con la Reding in Lussemburgo - ma dura lex, sed lex». Sacconi ha tenuto a precisare che, in ogni caso, la questione non riguarda il settore privato.
La sentenza e la sua applicazione riguarda, nel primo anno, circa 30mila lavoratrici. Secondo i calcoli fatti in occasione del provvedimento che graduava le uscite fino al 2018, il risparmio dovrebbe essere fra i 200 e i 250 milioni di euro l’anno (2,5 miliardi in dieci anni). L’accelerazione imposta dalla Commissione farebbe dunque lievitare la cifra dei risparmi, anche se - ricorda il vicepresidente della Commissione lavoro della Camera, Giuliano Cazzola - molte donne potrebbero maturare i requisiti per il pensionamento di anzianità, sfuggendo alla prescrizione europea.
I sindacati accusano il governo di ritardi e inadempienze, e definiscono inaccettabile l’ipotesi di «fare cassa» sulle spalle delle donne. «Anticipare bruscamente al 2012 l’innalzamento dell’età pensionabile produrrebbe uno scarto traumatico nei progetti di vita lavorativa di tutte le lavoratrici», ha detto Marina Porro dell’Ugl. Sacconi invita i sindacati a «non scioperare contro la pioggia». Ma non tutte le donne della Pubblica amministrazione - che rappresentano il 55% dell’intero pubblico impiego con un’età media di 48 anni e un’anzianità di servizio che, sempre in media, raggiunge i 17 anni e otto mesi - vedono questa misura come una punizione. Le 11.500 ostetriche del Servizio sanitario nazionale, ad esempio, sono favorevoli all’allungamento della vita lavorativa.

Enrico Letta (Pd) ammette che «l’invito europeo ha un senso, ma a patto di usare le risorse che si liberano per aiutare le donne». Coi risparmi, il governo potrebbe finanziare misure a favore delle dipendenti pubbliche e, in generale, delle lavoratrici.

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