Ultima chiamata per il ct Ballerini O vince o scende dall’ammiraglia

Domani a Salisburgo la prova su strada dei mondiali di ciclismo

nostro inviato a Salisburgo
Si comincia con una gaffe dedicata a Ciampi, che per un intero settennato aveva esortato la nazione a riscoprire l'alto valore simbolico del tricolore. Ecco: la squadra italiana di ciclismo, cioè dello sport al momento più sinistrato dell'arco costituzionale, si riaffaccia alla grande platea internazionale scatenando subito nuovo imbarazzo. Conferenza stampa ufficiale, atlete e atleti della delegazione si presentano con la maglietta di riposo. Un capolavoro di patriottismo: il tricolore che segna le spalle è semplicemente invertito. Rosso, bianco e verde. Il presidente federale Renato Di Rocco, barcollando un po', cerca di fare subito il pompiere: «Via, conta lo scudetto sul petto: quello è giusto...».
Proprio un inizio edificante: lo sport che deve disperatamente riaccendere l'amore della sua gente inalbera la bandiera al contrario. Se questo è l'inizio, dal seguito ci si può aspettare di tutto. Il momento, del resto, è terribile. Gli ultimi scandali doping hanno completamente sfregiato l'immagine di questa storica disciplina, che di fatto vive una situazione grottesca: boom della pratica, come dimostra la cerchia sempre più allargata dei ciclisti domenicali, crac del movimento professionistico, come dimostrano gli agghiaccianti dati d'ascolto delle ultime gare. Inutile aggiungere altre parole: una vittoria al Mondiale, che per la cronaca si corre domani sulle strade di Salisburgo, antica culla di Mozart e nuovo feudo del Trap, serve come linfa vitale. O come sangue fresco, tanto per restare fedeli al penosissimo gergo dell'ambiente. Servirebbe cioè una bellissima operazione simpatia, tipo quella della nazionale di Lippi in Germania. Una vittoria, limpida e pulita, per rifarsi una reputazione. O almeno per cominciare a rifarsela. Invece, pronti via e ridicolizziamo subito il tricolore. Poi, tanto per insistere con l'operazione simpatia, mettiamo subito sulla graticola il cittì, questo Franco Ballerini che in sei spedizioni ha pur sempre vinto un Mondiale con Cipollini e un'Olimpiade con Bettini, ma che soprattutto è volto positivo in un ambiente con troppe facce sporche. Sarebbe servito, in un momento di bufera, un gesto particolare, che so, il rinnovo del contratto a prescindere dal risultato, prima della corsa, per dimostrare a tutti come ci sia un piano di ricostruzione e alcuni punti fermi. Niente, gliel'hanno giurata: se domani non vince, lo silurano seduta stante (Cassani, Argentin e Fondriest i candidati). Ballerini sta messo così: può anche piazzare i nove azzurri nei primi dieci, ma se fallisce il primo posto può cercarsi un'altra ammiraglia. Per coprirsi le spalle, in federazione non hanno trascurato nulla: nemmeno la campagna psicologica. Quel ripetere «abbiamo la nazionale più forte del mondo», altro non è che una sinistra tagliola per Ballerini. Sarà facile, in caso di sconfitta, dirgli queste poche parole: «Sei riuscito a perdere con la squadra più forte, accomodati alla porta».
In realtà, la nazionale azzurra non è la più forte. Il Belgio del campione uscente Boonen, la Spagna di Valverde, il Kazakistan di Vinokourov e Kasheckin: tante squadre sono tranquillamente in grado di batterci. Noi abbiamo Bettini e una mezza moltitudine di mezzepunte (Pozzato e Di Luca i più accreditati): ma siccome un Mondiale non è una somma algebrica di nomi - chi più ne infila, più vince -, sarà meglio stare abbottonati con la vanagloria. Aspettiamo la strada, per stabilire che siamo i più forti del mondo. Dalle alte temperature della sua graticola, Ballerini si sforza di essere sereno: «Ansia? L'ansia assale chi non ha fatto per intero il suo dovere. Che sia l'ultimo o il penultimo Mondiale mio, non mi tocca...». Auguri a lui e ai suoi azzurri. La corsa di Salisburgo si sta lentamente trasformando in una resa dei conti.

L'ultima, la definitiva. Solo il tricolore sul palco, domani sera, può restituire un po' di serenità alla bicicletta italiana. L'importante è che quella bandiera, eventualmente, non la issiamo noi: sventolerebbe al contrario.

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