La tenda è una distesa di pugni alzati, un coro di rabbia e slogan contro lOccidente, contro le marionette dei sionisti, contro chiunque tenti di opporsi alla volontà di quelluomo in turbante nero, barba e grandi occhiali. Dal palco sospeso allentrata della straripante tenda della preghiera nel cuore dellUniversità di Teheran, la Suprema Guida Alì Khamenei lancia il suo ultimatum. «Tutto questo deve finire. L'Iran ha bisogno di calma. Queste manifestazioni di piazza sono state organizzate per far pressione sui capi della nazione, ma noi non ci piegheremo...e i politici che usano la loro influenza per muovere le piazze devono far molta attenzione a come si comportano...se agiranno in maniera estremista e non riusciranno a controllare la situazione saranno responsabili per il sangue, la violenza e il caos».
In quelle frasi si cela lavvertimento finale a Mir Hussein Moussavi, a tutti quelli che nel suo nome da una settimana contestano il risultato delle elezioni, sciamano nelle strade, sfidano le manganellate dei poliziotti e le sprangate dei fondamentalisti. Da quel discorso in poi nulla sarà più come prima. Scendere in piazza, opporsi, da oggi significa rischiare la vita. Lo capisci dal tono di Ali Khamenei, lo dice il divieto sulla manifestazione prevista per oggi, lo leggi nei messaggi inquieti che un attimo dopo rimbalzano su Twitter ed internet. «Da questo momento è tutto molto più pericoloso, ma dobbiamo aver fiducia nel popolo iraniano, con il coraggio possiamo vincere» scrive un sostenitore di Moussavi. «La manifestazione di domani (oggi per chi legge) alle 4 di pomeriggio a piazza Enghelab è confermata. Non possono risponde un altro - uccidere 2 milioni di persone». Speriamo, vien da dire. Intanto la Casa Bianca sostiene la libertà di dissenso e in serata avvisa: «Gli iraniani hanno il diritto di manifestare».
Ma lipotesi Tienanmen, il rischio di una strage esemplare studiata per scoraggiare chiunque pensi di sfidare lultimatum della Suprema Guida, continua a circolare a Teheran. Quellipotesi angustia in queste ore Hussein Moussavi. Il 67enne ex premier degli anni 80 che ha, di fatto, già accettato la sfida rifiutando di presenziare alleccezionale e inconsueto sermone pubblico della Suprema Guida. A rendere più pesante quellaffronto contribuiscono le assenze dellayatollah Alì Akbar Hashemi Rafsanjani, dellex presidente Mohammed Khatami e dellex presidente del Parlamento ayatollah Mehdi Kharroubi, altro grande sconfitto delle elezioni. Con quellatto di palese, manifesta indifferenza nei confronti della massima carica religiosa e politica del Paese la banda dei quattro ufficializza la rottura. A renderla pesantissima contribuisce la complicità di Rafsanjani, lex presidente e padre della rivoluzione oggi a capo dellAssemblea degli Esperti, lorgano istituzionale da cui dipende lelezione e ipoteticamente un possibile impeachment della Suprema Guida. E stasera tre di quei grandi assenti, Moussavi, Khatami e Karroubi, sono attesi a piazza Enghelab per guidare la manifestazione che il prefetto di Teheran Morteza Tamadon ha già proibito. Potrebbero rinviare a domani, ma se si presenteranno assieme stasera sarà la prima rottura ufficiale in seno al regime da trentanni, la prima manifesta insubordinazione di un ex premier, un ex presidente e un ex capo del Parlamento al volere della Suprema Guida.
Il discorso di Khamenei non offre spazio al compromesso. Anche la sessione odierna del Consiglio dei Guardiani, convocato per esaminare le 646 denuncie di irregolarità presentate dagli sconfitti, si rivela nelle sue parole poco più di una preventivata farsa. «Il popolo ha scelto chi voleva» decreta Khamenei apponendo il proprio sigillo sul risultato. «Non è avvenuta nessuna manipolazione. Ci sono stati 11 milioni di voti di differenza tra Ahmadinejad e Moussavi: con quella differenza che senso ha parlare di manipolazione?».
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