Gli «ultimi» di Bravetta dicono no al trasloco forzato alla Giustiniana

Rita Smordoni

«Vogliono portarci a vivere in un buco di ventotto metri quadri, privo di abitabilità» dice Grazia, palazzina B del Residence Roma, 3° piano: «Non siamo bestie!». «Il direttore voleva farci firmare un foglio dove c’è scritto che rifiutiamo di andare alla Giustiniana - urla Francesca, 4° piano, stessa palazzina -. Noi non firmiamo niente, non ci fidiamo del Comune. Devono darci una vera casa. La aspettiamo da 13 anni». A lanciare il grido di aiuto sono le circa 50 famiglie italiane, che ancora oggi vivono in assistenza alloggiativa nel Residence Roma. Sono sparse fra le palazzine A, B e C. Le sole ancora integre. Ma il complesso è ormai ridotto allo stremo, fra cumuli di immondizia e falò notturni accesi dai nomadi. «Venerdì scorso siamo andate in delegazione da Galloro, il delegato del sindaco - raccontano Grazia e Francesca -. Ha affermato che non è obbligatorio che ce ne andiamo alla Giustiniana. Ma quando abbiamo chiesto perché allora dal Comune non ci danno una vera casa, ha risposto: non dipende da me». La risposta la dice lunga: il Comune ormai non sa come uscire dal vicolo cieco in cui si è cacciato. A Bravetta il megadormitorio è ormai in preda al degrado, popolato da nomadi e clandestini, ma le famiglie italiane superstiti considerano la destinazione della Cassia perfino peggiore.
I mini-appartamenti della Giustiniana misurano 28 mq: una stanza, angolo cottura, bagno con la doccia. Armadio, tavolo e un paio di letti lasciano solo poche mattonelle libere. «Ci risulta che alcune di queste famiglie, non sapendo come muoversi in spazi così angusti, hanno occupato altri alloggi liberi - raccontano Grazia e Francesca -. Di andare lì non ci pensiamo proprio. Non vogliamo finire come deportati. Il Comune demolirà la palazzina B? Vorrà dire che andremo a vivere nelle altre. Abbiamo formato un Comitato di lotta, con l’appoggio del Comitato di quartiere Bravetta. La palazzina A sarà l’ultima ad essere sgomberata, pare a giugno: resisteremo fino allora». Un’atmosfera incandescente. Tornano alla memoria i due tentativi di suicidio del primo sgombero, quello del 2 marzo, fra i blindati della polizia. Il Comune cerca di procedere a colpi di mano. Ma trapelano racconti drammatici. Come quello di Rosa, palazzina A, 2° piano: «Vivo qui da 10 anni, in una stanza con angolo cottura, proprio come alla Giustiniana. Da quattro anni entra l’acqua dal soffitto. Il riscaldamento? Il gas? E quando mai l’abbiamo avuto? La cucina è elettrica. Da otto mesi ci hanno tolto pure l’acqua calda. Galloro ci dà un appuntamento ogni settimana, ma non concludiamo mai niente. Lo dice chiaramente: “Io non ho nessuna casa da darvi, al massimo il residence”». E i nomadi? «Sono centinaia, vendono sigarette, cellulari rubati. È una giungla. Mio marito è ricoverato all’ospedale, i medici gli hanno diagnosticato un tumore terminale: quando esce lo posso riportare qua? Spero solo che possa finire i suoi giorni almeno in una casa. Ma qui in mezzo alla sporcizia non può vivere». Sul Residence di Bravetta, interviene anche Forza Italia: «Abbiamo fatto approvare nella Finanziaria 2006 un progetto che punta a dare casa a tutti attraverso la vendita degli alloggi Ater - rivendica l’europarlamentare Antonio Tajani -. Al contrario della sinistra, che invece requisisce le case sfitte o deporta i cittadini gettando nel caos interi quartieri periferici di Roma». «Solo fra il Parco di Vejo e Prima Porta si contano migliaia di nomadi - aggiunge Laura Pastore, candidata alla Camera per Fi -.

La gente è terrorizzata, le periferie stanno diventando dei ghetti». Questa mattina uno spiraglio di luce potrebbe arrivare dall’incontro con il Prefetto di Roma del Ministro Gianni Alemanno e della delegazione di comitati di quartiere della Giustiniana.

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