La curva è un museo della politica. È la discarica degli incubi del Novecento. Ci sono svastiche e saluti romani, anfibi e passamontagna, magliette di Guevara acquistate al supermercato degli eroi, falci e martelli, stelle a cinque punte ancora bagnate di sangue, Cuba, olio di ricino e marijuana. La polizia ritiene che gli ultrà siano circa 74mila, molti sono vicini a Forza Nuova e a Base Autonoma, altri vivono nelle viscere più profonde della xenofobia nordista, alcuni sono ciò che resta del mito skinhead degli anni 70, dove il rosso e il nero si confondono, e una buona massa rumina tra stadi e centri sociali, vecchi autonomi, giottini vari, reduci di Genova, tute bianche, black bloc, anarchici insurrezionalisti, perfino qualche fan della Lioce. Lappartenenza è un dogma, essere ultrà è uno stile di vita. Gli analisti dellantiterrorismo, da tempo, dicono: le curve sono il laboratorio di tutte le culture antisistema. È in atto - dicono - una saldatura tra frange di destra e di sinistra. «Dove cè il caos, dove si creano sacche di illegalità, il pericolo di uninfiltrazione di estremisti di ogni tendenza è reale e prevedibile».
È il sogno di una rivoluzione reazionaria. Il rosso e il nero hanno nostalgia degli anni di piombo, le botte, le barricate, il fascio contro il comunista, la morte in strada, i picchiatori, spranghe e P38, la guerriglia vicolo per vicolo e anche allora un nemico comune: il celerino. Questi ultrà non hanno vissuto quei tempi, ma li hanno mitizzati in una sorta di inferno perduto. Dicono: erano anni in cui non dovevi chiederti chi eri. Lidentità era una scommessa alla roulette, rosso vinci, nero perdi. E viceversa. La morte aveva i tuoi occhi, ma non cerano dubbi, non cera quel senso di vuoto che ti fa precipitare a metà giornata, non cera la solitudine dellindividuo senza bandiere, quello che giorno per giorno si cerca la sua verità, piccola, quotidiana, precaria, sofferta. Sono troppo deboli gli ultrà per vivere così. Hanno bisogno di un muro, di un recinto, di un cortile dove tutto è certo e lorizzonte è senza futuro. Lincertezza è un peso troppo grande per gli uomini piccoli, qualche volta diventa terrore.
È questo filo reazionario che lega gli estremisti di tutte le curve e di tutte le piazze. Quando il capo della polizia Antonio Manganelli dice, in unintervista a Repubblica, «larea di estrema destra ha occupato le curve degli ultrà» pecca di daltonismo. Vede solo una parte della questione e non si rende conto che linternazionale degli ultrà, che da Livorno a Marsiglia rivendica falce e martello, guarda il mondo con la stessa nostalgia delle svastiche di Forza Nuova. Il segno è opposto, il sentimento è comune. Nei giorni del G8, luglio 2001, gli ultrà di Genova e Samp sguazzarono nella guerriglia urbana. Luomo fermato con laccusa di essere alla guida del furgone carico di armi, un arsenale mobile dei black bloc, era uno dei Fighters, cellula del tifo organizzato della Juventus. La figura di Carlo Giuliani, il ragazzo morto negli scontri, è diventata unicona generalista, un simbolo per ogni bandiera, purché ribelle. Gli slogan che insultano la memoria di Filippo Raciti («Sbirri crepate», «Poliziotto primo nemico», «Supporters 0 - Polizia 1») non hanno ideologia. Sono un tam-tam che si rincorre di stadio in stadio, che trova terra su internet e si riproduce in un vortice di cieco cinismo. Il germe del razzismo, dellintolleranza, dellodio, della rivolta contro il mondo, contro lItalia, contro la democrazia «borghese», limpero americano, le multinazionali, gli ogm, la Tav (in val di Susa cerano anche i tifosi del Livorno), contro McDonalds, la Coca-Cola, i ricchi e i pezzenti, contro litaliano qualunque e limmigrato regolare trovano, in questo matrimonio di curva e piazza, di rosso e nero, di ultrà e centri antagonisti, di neo fascisti e neo comunisti, il terreno ideale.
Vittorio Macioce
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