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Umano, troppo umano. Così il desiderio di "nutrirsi" ha fatto la nostra storia

Utensili da cucina, dipinti e sculture: un libro racconta il rapporto fra noi e il cibo

Umano, troppo umano. Così il desiderio di "nutrirsi" ha fatto la nostra storia

Tutti gli animali mangiano. I primi ominidi si cibano di ciò che riescono a raccogliere: frutti, semi, erbe, pezzi di carne strappati da carcasse abbandonate. Poi, intorno a due milioni di anni fa, questi nostri antenati primitivi iniziano a diventare "abili": inventano degli utensili e li utilizzano, fra l'altro, per cacciare e raccogliere il cibo; all'inizio la loro dieta prevede solo pietanze crude, ma a un certo punto gli uomini imparano anche ad accendere il fuoco e a cuocere gli alimenti, soprattutto la carne, e diventano... uomini, appunto. Perché ciò che noi siamo lo dobbiamo al nostro cervello e all'apporto di sostanze e calorie che lo foraggiano, e lo dobbiamo anche al fatto che viviamo in comunità: siamo uomini (e donne) che, fin dalla notte dei tempi, intorno ai fuochi della cucina chiacchierano, magari proprio di ciò che mangiano, cantano, ballano, litigano, si giurano fedeltà eterna, si tradiscono, si innamorano, saldano amicizie e coltivano rancori. E ancora, uomini che raccogliendo e cacciando prima, e coltivando e allevando poi (da circa dodicimila anni fa), diventano stanziali e danno vita a civiltà che prosperano, combattono guerre, creano opere d'arte meravigliose, crollano, rinascono... Insomma, "la necessità di mangiare ha contribuito a renderci ciò che siamo in quanto specie", differenziandoci nettamente dagli altri animali, dice Jenny Linford in Nutrirsi, uno splendido volume da poco pubblicato da Einaudi (pagg. 256, euro 50), il cui punto di forza sono le illustrazioni di dipinti, sculture, oggetti, stoviglie, reperti e stampe legate al mondo del cibo, tutte provenienti dalla collezione del British Museum.

Linford è una scrittrice londinese specializzata nel food writing (si chiama proprio così, poiché oggi il reparto culinario è uno di quelli con più discepoli nelle librerie, sui social e su internet) e si è appassionata al cibo crescendo a Singapore e in Italia, luoghi dove mangiare è da sempre qualcosa di più della soddisfazione di un bisogno primario: è un legame, un piacere, una cultura, una tradizione, una religione, un perno della società. E così, suddividendo l'"affaire cibo" in macrocategorie (caccia, pesca, agricoltura, viaggi e commerci, bevande alcoliche, conservazione, trasformazione, feste, cottura) Linford ci porta attraverso la "Storia di un gesto umano" che non guarda tanto, o quanto meno non solo, al prodotto finale, con la varietà infinita di ricette e creazioni che ritroviamo sulle tavole, bensì è piuttosto "una prospettiva più radicale" sui modi in cui gli esseri umani si sono nutriti nel corso dei millenni, e che comprendono una serie "di associazioni sociali, culturali e religiose". Un esempio su tutti è dato dalla caccia fra gli Inuit: si tratta dell'attività cruciale per la sopravvivenza degli abitanti dell'Artico e, proprio per questo, da sempre gli Inuit la praticano con tanta determinazione e precisione (e ferocia) quanto con rispetto quasi sacro nei confronti delle prede. Ed ecco che allora c'è il giaccone da caccia in pelle di caribù decorato con le rotte migratorie dei caribù stessi, a donare al cacciatore la forza e la capacità di orientamento dell'animale; oppure c'è la scatola a forma di balena che custodisce le preziosissime punte per la caccia al cetaceo. O il vaso in ceramica dei Moche del Perù con scolpita una testa di cervo e rappresentate scene di caccia.

Ci sono poi ceste per la raccolta che sono veri capolavori e provengono da tutto il globo, in materiali che rispecchiano i diversi ambienti di provenienza: il rizoma del Camerun, la corteccia di betulla del Nord America, il rattan del Borneo, la fibra vegetale del Queensland australiano. Poi ci sono i pesci, freschi ma soprattutto essiccati (su tutti il merluzzo, il re del settore) che dominano l'iconografia attraverso i secoli, poiché è così che è stato conservato per secoli un alimento molto nutriente e anche apprezzato per la sua corrispondenza ai dettami religiosi, che vietavano il consumo di carne al venerdì: per esempio un pescatore appariva scolpito nella pietra delle pareti del Palazzo di Ninive del re assiro Sennacherib, nel 700 avanti Cristo; ma pesci essiccati sono scolpiti anche nei netsuke, piccole sculture giapponesi tradizionali, visto che il katsuobushi è un ingrediente indispensabile nel dashi, il brodo giapponese.

E poi ci sono i lingotti di sale che erano la moneta di scambio preferita in Etiopia, dove valevano anche per pagare le tasse e le multe, o si utilizzavano in cambio di merci.

E ci sono i primi picnic (protagonista un principe islamico), i banchetti notturni in Giappone per ammirare il plenilunio, padelle gioiello, oggettistica strabiliante per la tavola (perfino una nave semovente), tazze d'oro per la cioccolata, i panettieri dell'Antico Egitto, le vecchie liste della spesa sulle tavolette d'argilla... E un classico contemporaneo: uno spettacolare bento giapponese in legno laccato del Sette-Ottocento, con gli spazi per scaldare l'acqua e quelli per conservare il cibo. Una schiscetta vintage, a regola d'arte.

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