Cultura e Spettacoli

Umbria Jazz, si chiude tra gli applausi

Edizione molto superiore al 2005. Mehldau la star, Midón la rivelazione

Franco Fayenz

da Perugia

Tutto sommato, Umbria Jazz 06 è andata meglio dell’edizione dell’anno scorso. I critici più severi possono sospendere l’invito sarcastico a cambiare nome, sostituendo la parola Jazz con un’altra più generica; dal canto loro devono capire che il Festival è comunque, ormai, un grosso evento mediatico. Se il jazz non offre più grandi possibilità di attrazione come all’epoca dei Mingus, dei Mulligan e dei Davis, la direzione artistica è costretta per forza a pescare altrove. È importante però che lo faccia bene (questo è il punto) malgrado la tematica non sia la sua e la conosca poco. E poi che non insista fino alla noia sugli stessi nomi, soprattutto per quanto riguarda i musicisti italiani.
I protagonisti che esigono perlomeno una citazione sono numerosi. C’è anche una rivelazione, lo straordinario cantante e chitarrista Raul Midón, non vedente dalla nascita, sul quale si dovrà ritornare. La sera più bella, per giudizio unanime, è quella offerta all’Arena di Santa Giuliana dal trio di Brad Mehldau con Larry Grenadier e Jeff Ballard e del quartetto di Wayne Shorter con Danilo Perez, John Patitucci e Brian Blade. Mehldau non è approdato ai vertici espressivi dello scorso maggio al Teatro Olimpico di Vicenza: la sua raffinatezza pianistica non si addice agli spazi troppo vasti e alle amplificazioni, ma è indubbio che egli oggi non abbia rivali. Shorter, pur suonando in base a partiture insolite nel jazz, ha dato ugualmente l’impressione di un’estemporaneità a tratti perfino disarticolata, ma senz’altro eccellente specie quando ha lasciato il sax tenore per il sax soprano.
Impeccabile come sempre il trio Ron Carter-Mulgew Miller-Russell Malone, che siamo tentati di definire «talmente perfetto da riuscire un po’ lezioso», condividendo l’intelligente esclamazione di uno spettatore. Il ritorno della Big Band di Carla Bley, più che mai splendida, efficace, talvolta innovativa, ha fatto da contrappeso ai momenti meno felici del festival (il Mozart massacrato da Chick Corea e un concerto in ricordo del martirio di New Orleans che avrebbe dovuto essere molto diverso). Ammiratissima la Garth Fagan Dance Company anche da chi capisca poco di danza, per merito di scultorei ballerini-atleti ben sollecitati dalla musica scritta per loro da Wynton Marsalis, inevitabilmente passatista ma pregevole.
Renato Sellani ha celebrato ogni giorno sul pianoforte i suoi primi ottant’anni.

Fra i musicisti collaterali o estranei al jazz, sia espressa gratitudine innanzitutto a Caetano Veloso che si è presentato nella sua veste migliore - cioè solo con la sua voce inimitabile e la sua chitarra - e ha dedicato la canzone Il Mondo di Jimmy Fontana all’Italia vincitrice dei mondiali di calcio; a Pino Daniele sempre fascinoso e altamente professionale; e infine all’arpista Edmar Castaneda, tanta tecnica e cuore in inverno, ma non si può pretendere troppo.

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