Ma gli unici a licenziare sono i «compagni»

Predicare bene e razzolare male dev’essere una sorta di must, a sinistra. Altrimenti non si spiega perché, in queste settimane in cui infuria il dibattito sull’articolo 18 e sulla libertà di licenziare con l’abolizione della «giusta causa» prevista dalla riforma del governo, la sinistra si infuria sui giornali contro il ministro Elsa Fornero salvo poi, quei giornali «rossi», chiuderli senza colpo ferire. E così, mentre persino il sindacato di categoria attraverso la Federazione nazionale della stampa lanciava l’allarme «per le specificità delle ripercussioni su una attività come quella dei giornalisti che rischia di essere minata nella sua autonomia e libertà professionale», e mentre sulla stampa di sinistra si stendevano colate di piombo sul dibattito tra il diritto al posto fisso soprattutto in tempi di crisi e il dovere di misurarsi con un mercato del lavoro in continua evoluzione il sindacato, con la sinistra antagonista che insisteva - e legittimamente - sulla dignità del lavoro, nelle stesse ore si consumava il paradosso. I giornalisti di due storiche testate - il Riformista e Liberazione - hanno perso il posto di lavoro. Praticamente licenziati. Rifondazione comunista, dicono i giornalisti del foglio rosso, si è opposta «in maniera miope a ogni tentativo di soluzione costruttiva, a ogni proposta di ulteriore sacrificio che non smantellasse il giornale e la redazione, e così infligge ai suoi lavoratori e lavoratrici una tragica sconfitta».

Il riformista Emanuele Macaluso, senatore Pd, ha gettato la spugna perché il quotidiano arancione perdeva 2mila euro al giorno nonostante contratti di solidarietà e foliazione ridotta. Due sconfitte con tanti padri, figlie anche della stretta sui soldi ai giornali di partito. Col paradosso di avere un «padrone» che sui giornali difende il posto fisso. Tranne il tuo.

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