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Unico indizio: la paura. Indagine a casa di King

Ogni strada di Bangor, nel Maine, ricorda la pagina di un libro. Tutto sembra normale, ma tutto è inquietante

Unico indizio: la paura. Indagine a casa di King

da Bangor (Maine)

Il Maine è famoso per le sue aragoste: si pescano a tonnellate e ne puoi mangiare due fresche per soli venti dollari. Molti, invece, lo ricordano per La signora in giallo , quella portasfiga di Jessica Fletcher che seminava la morte ovunque andasse, ma soprattutto nel paese dove abitava: l'immaginaria Cabot Cove, Maine, funestata da decine di omicidi. Pochi sanno, però, che la serie fu girata a Mendocino, California. Nel Maine ci sono i fari sull'oceano, le tipiche casette di legno del New England, i borghi di pescatori come Gloucester, dove Clooney in versione pescatore barbuto affrontava le onde furiose della Tempesta perfetta . Insomma, il Maine è un posto carino per un viaggio di nozze.

Ma cosa può spingere una coppia sino alla remota Bangor, anonima cittadina sul fiume Penobscot che tutte le guide turistiche consigliano di evitare? La risposta è uno scrittore da 350 milioni di copie vendute, capace di ispirare registi come De Palma, Kubrick, Cronenberg, Carpenter. L'uomo che ha appena ricevuto da Barack Obama la National Medal of Arts, massima onorificenza americana per un artista. Stephen King è uno dei più grandi scrittori viventi (e non perdete tempo a contraddirmi) eppure non abita in un attico a New York o in una villa sull'oceano a Malibu: da anni vive e lavora nella brutta, scomoda e dimenticabile Bangor, cuore di quel Maine dove è nato e ha ambientato gran parte dei suoi romanzi.

Per arrivarci io e mia moglie abbiamo attraversato in macchina tutto lo Stato, dalle frastagliate coste atlantiche alle foreste dell'interno. Mentre guidavo per decine di miglia senza incontrare una casa, con intorno i colori infuocati di un bosco senza fine, mi sembrava di essere alle porte di un universo selvaggio ed ostile a noi uomini civilizzati. Un luogo che saremmo incapaci di dominare e dove, forse, sopravvivono per davvero arcane presenze. In attesa solo che la nostra macchina si guasti e il cellulare non abbia campo. Pensavo alla protagonista di La bambina che amava Tom Gordon che si perde nel bosco e si accorge di una creatura che la bracca, sempre più vicina. Pensavo al Wendigo, gigantesco demone indiano che infesta i boschi di Pet Sematary .

Costeggiando i laghi e le casette di villeggiatura isolate, immaginavo la protagonista del Gioco di Gerald , legata al letto con accanto il cadavere del marito, morto dopo un gioco erotico finito male. Bloccata lì, mentre dalle altre stanze iniziano ad arrivare strani rumori. E così, viaggiando e immaginando, siamo arrivati a Bangor, la cittadina che King ha trasfigurato nell'immaginaria Derry, per ambientarci uno dei suoi massimi capolavori: It .

Ho trovato le location di molte scene del libro con il formidabile aiuto di questo blog: http://maddrey.blogspot.it. Ho scovato così la bruttissima statua del mitico tagliaboschi Paul Bunyan, che nel libro si anima e cerca di uccidere Richie Tozier. Ho raggiunto la cisterna dentro cui Stan Uris incontra i fantasmi dei bambini annegati e sono sceso sino al bosco sul fiume, così simile a quei «Barren» dove i protagonisti si scontrano a pietrate con i bulli della città. Ho individuato il terribile tombino in cui Pennywise il Clown trascina e uccide il piccolo Georgie all'inizio del romanzo. Incontrando un gruppo di ragazzi che passeggiavano ho pensato al Club dei Perdenti, armati solo di amicizia e coraggio mentre lottano con il Male. Ho sentito il cuore accelerare, mentre una bici mi superava sfrecciando in discesa, come la fantastica «Silver» su cui Bill Denbrough fugge a perdifiato, braccato da It . Ho immaginato il padre cattivo di Beverly, nascosto a brutalizzare la figlia in una di quelle casette anonime.

Poi ho sconfinato a Orrington, subito fuori città, cercando la villetta che nel 1978 King e sua moglie Tabitha affittarono, ma senza stare in pace un solo giorno: temevano che il figlio piccolo, Owen, finisse sotto qualche auto sulla statale davanti casa. Invece toccò al gatto Smucky morire investito e la famiglia lo seppellì in un cimitero per animali dietro la villetta. Nacque così l'idea cruciale di Pet Sematary : un uomo scopre un cimitero capace di resuscitare i morti e ci seppellisce il suo gatto appena investito. Dopo, però, ci deve tumulare anche il figlio. L'incantesimo riesce ed entrambi tornano dalla morte. Ma tornano diversi . Ho scattato tante fotografie e le potete vedere tutte sul mio sito www.riccardogazzaniga.com, ma non bastano a raccontare le sensazioni.

Attraversando Bangor sulla mia Chevrolet bianca, mentre scendeva il crepuscolo e poi il buio, il fantastico si è mescolato con il reale. È stato allora che ho avvertito quel qualcosa d'inquietante e storto di cui King racconta nei suoi libri ambientati nella periferia povera di un'America in cui i sogni non si realizzano quasi mai. Quella stortura di cui Bangor-Derry è l'emblema. Nelle case abbandonate o fatiscenti, negli abitanti cupi e malvestiti, fermi sulle verande a fissare il vuoto con una birra in mano e un barbecue devastato alle spalle, ho ritrovato quel genere di posto da cui desideri fuggire subito e senza mai tornare in cui King è riuscito a portarci coi suoi romanzi. È la telepatia della scrittura di cui si parla nel meraviglioso On Writing : parole che superano il tempo e lo spazio e ti trasportano in un luogo distante 8mila chilometri. Te lo fanno sentire, te lo fanno vedere. E quando in quel posto ci arrivi davvero, anni dopo, ti senti come se ci fossi già stato.

Restava un solo indirizzo da trovare e, mentre impostavo il navigatore, quello ha smesso di funzionare. Strana coincidenza, no? Stephen King vive in un'enorme villa rossa, affacciata su una delle poche strade salvabili di Bangor. «E dicono che sottoterra sia ancora più grande...» mi ha raccontato con aria misteriosa un tizio, alla reception del mio albergo. Mi sono fermato solo pochi minuti, lì davanti. Ero agitato, temevo di farmi notare da una pattuglia di Polizia o di essere scambiato per uno stalker, se qualcuno mi osservava da dietro le tende chiuse. «King è una persona come tutte le altre. Lo vediamo spesso in giro, qui a Bangor», mi ha spiegato la proprietaria di un'enoteca. Ma, in fondo, mica desideravo incontrare per davvero Stephen King. Non avrei saputo neppure che dirgli, nel mio inglese faticoso. Mi sarei reso ridicolo, farfugliando o restando inebetito. Oppure sarei stato arrestato da uno di quei poliziotti folli dei suoi libri. Insomma, avrei rovinato tutto.

Così ho infilato un piccolo pacco sospetto di colore rosso sotto le sbarre nere del cancello ornato di fregi a forma di pipistrello. Il pacco conteneva un regalo. Un libro, ovviamente. Ho lasciato nel giardino di King una copia del mio primo romanzo, anche se non mi risulta che parli italiano e so che non lo leggerà mai. Ma non importa, ciò che contava era la dedica in inglese, corretta da un amico. Per dirgli grazie. Grazie Mr. King, di avermi ispirato tutti questi anni e di avermi spinto a provare, umilmente, a fare lo scrittore. Grazie perché, senza i suoi romanzi, io non sarei la persona che sono.

Poi sono ripartito, sano e salvo. E tra gatti tornati dalla morte e statue assassine, tra Pennywise il Clown e quel qualcosa di sinistro che ancora vive a Derry, non era poi così scontato.

*Autore del romanzo A viso coperto (Einaudi). Nel 2016 uscirà

il suo secondo romanzo,

sempre con Einaudi

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