Unicredit, la Borsa crede all’ipotesi SocGén

Dopo le voci sulle nozze Parigi guadagna il 3% mentre Milano cede lo 0,9%. Ma l’ad Profumo frena: «Non ho nulla da dire»

Unicredit, la Borsa crede all’ipotesi SocGén

da Milano

Analisti e sale operative credono alle nozze Unicredit-Société Génerale. Immediata la ricaduta in Piazza Affari dove, malgrado le indiscrezioni si rincorressero da tempo, il gruppo di piazza Cordusio ha ceduto lo 0,9% a 7,34 euro, mentre a Parigi SocGén è scattata fino al 5% per poi chiudere in progresso del 3% ai massimi storici di 143,5 euro. La banca francese non ha commentato e l’amministratore delegato di Piazza Cordusio, Alessandro Profumo, si è trincerato dietro a un «non ho nulla da dire» per poi schermirsi: «Credo che l’unica banca che non è stato detto che compriamo è Bankitalia. Non so più come gestire queste voci, francamente mi sembra un po’ eccessivo». Il doppio strappo in Borsa è, tuttavia, la cartina di tornasole che istituzionali e hedge fund stanno prendendo posizione. Ora che è definitivamente a regime la macchina del supergruppo creato qualche anno fa con la tedesca Hvb, SocGén potrebbe infatti rappresentare il coronamento della filosofia paneuropea di Profumo.
Approccio con cui si spiega forse anche la distanza di sicurezza dal riassetto Telecom Italia finora osservata da Unicredit, per cui l’alternativa «domestica» potrebbe essere Capitalia. Un accordo con Cesare Geronzi, che all’ultimo cda ha assunto la regia di eventuali aggregazioni per via Minghetti, creerebbe un aggregato egemone sull’asse Mediobanca-Generali.
Agli occhi degli analisti maggiore appare però il fascino «industriale» di un ponte verso SocGén. Magari facendo perno su alcuni incroci azionari, come quello della Fondazione Crt: l’ente torinese che oltre a sedere tra i grandi soci di Unicredit (4,9%), ha in portafoglio poco più dell’1% di SocGén. Un pacchetto non trascurabile per la public company transalpina accanto a quelli di Cnp e Dexia (1,1%), Cdc (2%), Meji Yasuda (2,4%) e Groupama (2,9%). Una congerie dove spicca il 7% nelle mani dei dipendenti, quota che si trasforma nell’11,4% dei diritti di voto e che potrebbe diventare una barriera per eventuali scalatori indesiderati. Ostacolo con cui, secondo alcune valutazioni, potrebbe scontrarsi anche l’eventuale avvicinamento di Unicredit.

Complice la distanza dimensionale che sussiste tra i due gruppi in aree ad alta profittabilità come l’investment banking.
Quello che è certo è che, dopo il corpo a corpo ingaggiato da Barclays e Rbs-Santander-Fortis per la conquista di Abn Amro, gli analisti sono alla ricerca delle contromosse.

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