Il regno di Alessandro Profumo in Unicredit sembra giunto al tramonto. La resa dei conti con i grandi soci si consumerà alle sei di questo pomeriggio in un consiglio di amministrazione straordinario, quando Profumo rassegnerà le dimissioni che, salvo sorprese, verranno accettate. Estremi tentativi di mediazione sono ritenuti improbabili. Tanto che è già deciso che le deleghe siano trasferite al presidente Dieter Rampl che avrà il compito di traghettare la superbanca insieme con i quattro vice amministratori delegati (Roberto Nicastro, Sergio Ermotti, Federico Ghizzoni e Paolo Fiorentino) in attesa che i soci trovino la quadra sull’assetto. Questa soluzione ponte non è però gradita a Bankitalia che propende per avere un unico referente dell’operatività della banca. Per guidare il futuro Unicredit si fanno i nomi di Gianpiero Auletta Armenise, Matteo Arpe, Fabio Gallia e Claudio Costamagna.
La palla è dunque nelle mani del consiglio e di Profumo che comunque ieri sera non aveva ancora lasciato e avrebbe accarezzato l’idea di andare alla conta. La necessità di andare alla resa dei conti è sbocciata dopo un’altra giornata di tensioni in cui la maggioranza dei soci avrebbero apertamente chiesto l’avvicendamento al vertice. I grandi azionisti, si sfogava ieri uno di loro con il Giornale , non sono più disposti «a essere trattati alla stregua di Bancomat, ad approvare gli aumenti di capitale quasi al buio o comunque con spiegazioni sommarie». Il riferimento è all’operazione cashes con cui Profumo aveva puntellato Piazza Cordusio, al culmine della crisi dell’economia mondiale. É probabilmente questo l’inizio della crisi del «modello Unicredit», che oggi sarà sul tavolo del cda insieme agli equilibri di governance.
A provocare la frattura con Profumo sia il blitz con cui la Libia, all’insaputa dello stesso Rampl, è diventata di gran lunga il principale socio di Unicredit con il 7,6%, sia i risultati trimestrali non brillanti. La recessione insieme alla capacità del banchiere di macinare profitti e versare dividendi nelle casse delle Fondazioni ha in pratica ridotto anche il suo fascino. Da più parti, tuttavia, si assicura che Piazza Cordusio rimarrà indipendente e che non ci sono sorprese in bilancio: secondo un report di Equita, Unicredit prevede accantonamenti tra i 6 e i 9 miliardi nei prossimi 18 mesi. Altre avvisaglie dello scontro con i soci erano emerse in primavera, quando il Profumo era dovuto scendere a patti sulla governance pur di fare digerire il riassetto della Banca Unica agli enti locali. A guidare la fronda è stata in questi mesi CariVerona (cui fa capo il 4,6%), mentre il sindaco della città Flavio Tosi invocava la crociata contro la grande avanzata nel capitale degli emissari di Gheddafi: «Chi sbaglia, paga », ha detto ieri Tosi aggiungendo che Profumo ha gestito la vicenda «un po’ in proprio». Le altre Fondazioni grandi azioniste sono Crt (3,3%) e Carimonte (3%) mentre tra i soci privati spicca Allianz (2%). Il pacchetto libico resta comunque uno nodo per i consiglieri di Unicredit: ieri si è inoltre appreso che la Lia, il fondo sovrano con cui Gheddafi investe i proventi del petrolio, era salito al 2,59% già a fine agosto. La Banca centrale libica si è detta «molto soddisfatta» dell’investimento in Piazza Cordusio e ha ribadito di muoversi sul lungo termine.
Il destino della quota di Tripoli resta tuttavia appeso al verdetto della Consob, chiamata ad accertare
l’effettiva indipendenza dei singoli investitori e, in caso contrario, a fare scattare il congelamento dei diritti di voto. Il 30 settembre Unicredit risponderà, invece, ai rilievi sulla governance avanzati da Bankitalia.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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