Unicredit, per Profumo rivincita in Borsa

APERTURE Un country manager per l’Italia? «Ne discuteremo da qui al 13 aprile»

Se l’idea era quella di stupire tutti con effetti speciali, Alessandro Profumo questa volta ci è riuscito: i dati del bilancio 2009 di Unicredit, presentati ieri a Londra dopo due giorni di turbolenze tra soci e management, sono stati assai migliori del previsto. In Borsa il titolo è schizzato del 6,3%, a 2,16 euro. Un balzo di altri tempi. E questo è il primo punto. Il secondo è che la giornata di ieri, dopo la ritrovata serenità in Unicredit, ha registrato un passo avanti nella corsa al cambio al vertice delle Generali, che si deciderà nelle prossime due settimane perché la lista di maggioranza di Mediobanca deve essere pronta per il 6 aprile, in tempo per essere votata nell’assemblea del 24. Niente di decisivo, ma qualche tassello è andato al suo posto.
A Londra, infatti, Profumo portava Unicredit definitivamente fuori dalle Generali (come richiesto a suo tempo dall’Antitrust), cedendo il 2,84% a 18 euro per azione (in linea con i prezzi di Borsa). E, forte dei risultati della banca, sottolineava che nell’eventuale scelta di un nuovo presidente di Mediobanca intenderà dire la sua («Siamo i maggiori azionisti, impossibile ignorare la questione»). Mentre a Milano Cesare Geronzi, presidente di Mediobanca e possibile candidato al vertice di Trieste, incontrava molte personalità di spicco della finanza nazionale, a cominciare dal presidente di Intesa Giovanni Bazoli e dal vicepresidente della Fiat, John Elkann. Il tema, in verità, riguardava più Rcs (vedi articolo a fianco) che Generali. Ma, come si sa, tutto è connesso, nella grande finanza italica.
Di sicuro la cessione del 2,84% di Generali può avere un significato: a comprare il 2,26% sono stati la Fondazione Crt e il gruppo Ferak, congiuntamente riuniti nella nuova società Effeti spa. Non due soci qualunque: il primo è l’Ente torinese grande socio di Unicredit; il secondo è il gruppo di imprenditori e finanzieri veneti che fa riferimento a Giorgio Meneguzzo e Marco Drago, che già aveva l’1,7% di Trieste e che così sale al 2,83%, terzo azionista Italiano dopo Mediobanca e Bankitalia.
Un segnale che si può interpretare come un tributo di investitori già presenti, oltre che localmente vicini, all’attuale management, cioè ai due ad Perissinotto e Balbinot. Il che, alla vigilia dell’assemblea di rinnovo delle cariche, potrebbe essere un utile indicazione. Per quanto riguarda la Crt, il cui plenipotenziario è l’abile Fabrizio Palenzona, vicepresidente di Unicredit e consigliere in Piazzetta Cuccia, l’appoggio a Ferak deriva probabilmente dalle comuni frequentazioni venete: Crt è partner storica dei Benetton in Atlantia, e ben conosce il territorio del Nord-Est. Mentre una nuova Fondazione in Generali, insieme con Cariplo, Compagnia di Sanpaolo e Carisbo, fornisce un elemento in più di stabilità alla compagnia.
Gli 1,7 miliardi di utile netto sono ben sopra gli 1,3-1,4 attesi dagli analisti, ancorché ben inferiori ai 4 miliardi dell’anno scorso. Ai soci, dopo il digiuno dello scorso anno, una cedola di 3 centesimi, per un monte dividendi complessivo di quasi 580 milioni, pari a poco più di un terzo dell’utile. Nel solo quarto trimestre del 2009, l’utile netto di gruppo è stato di 371 milioni (in calo dai 394 milioni del terzo trimestre 2009), contro le attese degli analisti di un rosso di 4 milioni.
Forte di questi conti, Profumo ha prima di tutto negato di aver minacciato le dimissioni nei giorni scorsi. Poi ha potuto spiegare personalmente la situazione della banca, dopo il rinvio al 13 aprile per il cda che dovrà approvare il progetto di Banca Unica, ossia l’aggregazione nella holding delle attuali tre banche che compongono il gruppo: retail, corporate e private banking.

Il punto, ha detto, «non è tanto quello dell’istituzione o meno di una figura di direttore generale, quanto quello di definire le nuove funzioni operative». Quanto all’ipotesi di una figura del tipo country manager anche in Italia, Profumo ha fatto capire che non ci sono preclusioni a priori, ma «ne discuteremo da qui al 13 aprile».

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