Un'orgia di immagini sul mistero della donna

"Il corpo incantato" di Roberto Peregalli è una riflessione sulla bellezza. E sull'erotismo

Un'orgia di immagini sul mistero della donna

Formidabile. Un libro assolutamente formidabile e imperdibile, Il corpo incantato di Roberto Peregalli (La nave di Teseo), libro povero, artigianale, composto e impaginato dallo stesso autore che ha eluso perfino il frontespizio per dargli la veste di un «piccolo manuale (quasi) pornografico». Un imprevedibile trattatello sulla donna, capriccioso nel suo apparente aspetto disadorno, come il suo autore. Vuole essere un libro d'arte, come un testo incompiuto, nella sua dissimulata perfezione: una serie di appunti con la civetteria di presentarsi, finito e rifinito, con un «indice degli argomenti (schema provvisorio)» per indagare «le forme (la pelle), il seno (e i capezzoli), il pube, le natiche, gli umori, il sapore e il profumo, la voce (i versi), intermezzo (la donna nuda e l'arte), il desiderio (e il contatto), il congiungimento carnale, da dietro (contro natura), la gelosia (e il tradimento), l'ossessione (e il distacco), epilogo, il piacere (senza un fine), l'amore (e la morte) senza ritorno. Un indice senza l'indicazione delle pagine per rimandare a capitoli che hanno titoli diversi, in un disordine programmatico cui l'editore non ha posto freno, consentendo al Peregalli, magister ludi et gustibus, l'inconsentibile.

Naturalmente Peregalli ha tentato di porre (non convinto) rimedio ai suoi capricci scaricando la responsabilità su altri, forse inesistenti, e comunque suoi doppi: «il libro, con la veste estetica di Luca Stoppini, è corredato di immagini che rappresentano dettagli di opere fotografate dall'autore e stampate su pagine bianche quasi trasparenti, per dare il senso della bellezza effimera e sottile del corpo della donna e del fascino rapinoso che suscita in noi». Per la veste, apparentemente (o raffinatamente) povera, anche il prezzo è eccessivo, 26 euro. Ma il libro li vale tutti. Il piacere che offre è raro e ha l'andatura propria dei classici. È l'ideale continuazione di libri impertinenti, ma essenziali, come Il mio cuore messo a nudo di Charles Baudelaire, Bouvard e Pécuchet di Gustave Flaubert, Memorie intime di Georges Simenon, i diari di Paul Léautaud e di Witold Gombrowicz, i Pensieri spettinati di Stanislaw Jerzy Lec.

Eppure Peregalli è pettinatissimo. Dovreste vederlo: magro, sottile, sobriamente elegante, timido, naturalmente ricercato, mostra di scrivere, riparato dal mondo, a Tangeri, dove fummo insieme vent'anni anni fa e dove vivono più stabilmente altri sofisticati italiani, come Umberto Pasti. Ma vi aveva consumato la sua vita anche Paul Bowles, l'autore di Il tè nel deserto, da cui Bernardo Bertolucci derivò l'omonimo film. Deve esserci una buona aria colà, se in una rapida biografia di Bowles leggiamo: «Dopo il decesso di Jane (la moglie) a Malaga nel 1973, Paul rimane a Tangeri, continuando a scrivere, a tradurre, e a ricevere artisti e intellettuali di tutto il mondo, che lo venerano per la sua totale indipendenza e per una rara libertà di pensiero, svincolata naturalmente dalle tante effimere mode culturali». Le ricordo perché sono parole che convengono anche a Peregalli.

Così entriamo nella sua esperienza del «corpo incantato», attraverso emozioni, sensazioni, riflessioni: «Il corpo nudo di una donna è bello quando è disteso sul letto, nella penombra delle persiane semichiuse. L'apparente semplicità della scena contiene in sé la verità, il disvelamento. Un mondo si offre al tuo sguardo. Le lenzuola bianche disfatte, i riflessi sulla pelle addormentata. Nulla c'è di più prezioso».

Nulla c'è di più prezioso. Come l'ha capito Peregalli? E si risponde: «Quella notte in cui hai visto il documentario su Tarkovskij in una umida sala cinematografica di Tangeri e hai capito, mentre le immagini si muovevano sullo schermo, che da lì si comincia». Alle prime battute Peregalli, in perfetta contraddizione con l'autocontrollo e la apparente castigatezza dei suoi costumi, appare un iniziato. Soltanto chi ha penetrato il mistero della donna può scrivere: «Il corpo è adagiato, a tua disposizione. Il ventre, i seni con i capezzoli irrigiditi, il culo una curva sublime. È una sensazione rapinosa. Da una parte costituisce un lusso che non ha confini sociali, dall'altra poche persone lo colgono nella sua essenza. Si parla della morte, dell'anima, dell'amore, la cornice che avvolge (e nasconde) il corpo femminile, ma il quadro vale di più. L'aveva capito Courbet quando ha dipinto L'origine del mondo. Per questo, avvicinandosi a quella tela si prova sgomento come di fronte all'abisso. In qualche modo il corpo di una donna nella sua verità è una esperienza indicibile».

Peregalli procede per similitudini. Per lui (ed è vero) il sesso di una donna è come il muschio a Venezia: l'umido, i peli, l'odore intenso, quasi dell'imperfezione. Non per caso ha scelto per la sua copertina Étude de fesses di Félix Vallotton, un culo morbido e flaccido. «Il culo di una donna può essere, come il seno, piccolo, grosso, flaccido, morbido, sodo. È molto piacevole da toccare. Pur non essendo dotato di altri orpelli (come i capezzoli per il seno), suscita pensieri, desideri, sogni. Questo perché, a differenza del seno che appare alla vista in tutta la sua bellezza e non nasconde nulla, le natiche mascherano nella fessura verticale un orifizio, misterioso e segreto».

E proprio qui il libro trova, in un misterioso equilibrio, il suo centro, risalendo a Ultimo tango a Parigi, il film di Bernardo Bertolucci. Peregalli rovescia il «rapporto contro natura» in un rito, come quello celebrato dal personaggio felliniano in Amarcord con la straniera sedotta al Grand Hotel: «Mi ha dato la prova fondamentale; mi ha concesso l'intimità posteriore». Subire questa prova è per la donna un'iniziazione. «Attende sottomessa, a faccia in giù, che il rito si compia, inarca leggermente i reni per permettere più facilmente la penetrazione. Involontariamente contrae il muscolo generando un'ostruzione, per rilasciarlo qualche secondo dopo, in modo che il membro possa entrare e proseguire verso il nulla. È un atto senza condizioni, ha lo statuto di essere fuori dalla legge (in alcuni paesi è ancora oggi punito severamente), e fuori da ogni regola. È un dono che la donna offre senza ritorno. A differenza del congiungimento venereo, il corpo è bloccato nei suoi gesti. La donna può provare dolore o piacere, ma è comunque un'esperienza mistica, in cui il pensiero ha per una volta la predominanza. Si è superata la soglia della comunione dei corpi. Qui l'uomo e la donna sono soli con sé stessi di fronte all'assoluto».

La meticolosa descrizione del corpo femminile, la lentezza dell'avvicinamento ad ogni dettaglio, come con lo zoom, invece di sconcertare, coinvolge e travolge come una sentenza definitiva che integra con la parola ciò che hanno illustrato i pittori. È il capitolo «Nudo su tela», accompagnato da personalissimi dettagli di celebri dipinti di nudi femminili, da Paolo Veronese a Gustave Courbet, da Tintoretto a Lucian Freud, da Canova a Jenny Saville, da Pierre Subleyras alle fotografie di Edward Weston. La consuetudine con queste opere guida l'esperienza umana e sensoriale sui corpi reali, in un avvicinamento che ha come paradigma il Dialogo delle bellezze delle donne di Agnolo Fiorenzuola: «La donna, per essere definita bella, deve avere: capelli folti, lunghi e di un biondo caldo che si avvicini al bruno; la pelle deve essere lucente e chiara, gli occhi scuri, grandi ed espressivi, con un tocco di azzurro nel bianco della cornea; il naso non aquilino; bocca piccola, ma carnosa; mento rotondo con la fossetta; collo tornito e piuttosto lungo; spalle larghe, petto turgido dalle linee delicate; mani grandi, grassocce e morbide; gambe lunghe e piedi piccoli».

Alla fine della lettura, con le pagine assolute sul corpo agonizzante della madre, accostato alle architetture in rovina, mi chiedo perché, nella vasta esperienza di corpi reali e di corpi dipinti, Peregalli non abbia indicato i dipinti dei due pittori in cui realtà e finzione coincidono proprio nella

rappresentazione del nudo femminile: Diego Velázquez e Guido Cagnacci. In quelle opere assolute che sono la Venere e l'Allegoria del tempo (La vita umana), dove la pittura si fa carne. Forse Peregalli li riserva per un altro libro.

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