Alberto Zaccheroni ieri sera deve aver capito in che mondo sia capitato. Ha capito che razza di pubblico sia quello dellOlimpico di Torino, quello che insulta Balotelli, quello che dava del maiale a Carlo Ancelotti, quello che odiava e fischiava Capello prima che sbarcasse alla corte scelto da Umberto Agnelli e non dalla triade, quello che si è messo a strillare contro Blanc e Secco, invocando Moggi e Agnelli, quello che è tornato a scaricare fango contro Cannavaro. Alberto Zaccheroni aveva ragione quando nel Duemilasei, alla guida del Torino, interpellato sui guai juventini in serie B e sullo stato emotivo dei tifosi bianconeri, così aveva risposto: «Non mi risulta che a Torino ci siano tifosi della Juventus, tutti quelli che incontro sono del Toro».
Aveva perfettamente ragione perché la Juve è seguita da milioni di amanti quando gira per lItalia ma, non appena rientra al domicilio, va in depressione, la sua casa è fredda, cialtrona, volgare, bastava vedere le due curve ieri sera, bastava ascoltarne lalito pesante, il senso di vomito continuo, urla e urli, lo zoo dellOlimpico. Sono gli stessi eroi che hanno il coraggio di cantare «
la Juve siamo noi
!». Ecco da chi è rappresentato, a Torino soltanto, per fortuna, il tifo bianconero, da un manipolo che riesce a rendere simpatici e teneri anche il gatto e il gatto (li chiamano così perché manca la volpe), dico Blanc e Secco, i dirigenti che una ne hanno fatta e mille ne hanno combinate, un manipolo che è costato alla società quasi duecentomila euro in multe.
Alberto Zaccheroni è sembrato un uomo solo prima seduto sulla panchina più scomoda del campionato, poi in piedi a bordo campo, ha inforcato gli occhiali, ha cercato di osservare soltanto la partita, tappandosi gli orecchi anche se deve essere stato durissimo non aver sentito e assorbito quei cori schifosi o anche il silenzio indifferente e vigliacco dei soliti noti.
Qualcuno deve aver anche capito che il problema juventino non è la panchina, non è la guida tecnica anche se Ciro Ferrara ha commesso, nella sua breve esperienza, alcuni gravi errori di grammatica tattica.
La Juventus quella era e quella rimane, alla ricerca disperata di se stessa ma senza veri interpreti se non reduci e sopravvissuti del vecchio regime. Zaccheroni, con intelligenza, non ha osato stravolgere le abitudini della squadra, non ha fatto ricorso al modulo che ne ha contraddistinto il passaporto di allenatore, lo schema della retroguardia a tre (che è, tatticamente, il più difensivo, obbligando gli interpreti a restare nella propria posizione), ha scelto di confermare gli uomini e il disegno che hanno portato alla bocciatura di Ferrara. Così facendo ha caricato, giustamente, di responsabilità i giocatori e il prodotto non poteva essere molto differente da quello già conosciuto e marchiato dalla serie eccessiva di prestazioni negative e di sconfitte.
I quattro mesi che attendono Zaccheroni a Torino saranno i più acidi della sua carriera. Non soltanto per le difficoltà che accompagnano la squadra, gli infortuni, lo scadimento di forma di alcuni, ma per il gas tossico che si respira dentro e fuori la Juventus, per le voci, mai smentite addirittura durante la conferenza stampa di presentazione, del suo ruolo ad interim, con quel sostantivo fastidioso ,traghettatore, che è un handicap supplementare in un ambiente che non ha punti sicuri di riferimento.
Già era toccato a Ferrara vivere allombra di Marcello Lippi, adesso si è aggiunta quella di Benitez e allora anche un professionista come Zaccheroni sa che il tempo non gioca affatto in suo favore, anzi ogni partita è e sarà una trappola. Qualunque sarà il risultato finale, la società non potrà smentire che quella attuale è stata una scelta di emergenza, per mancanza di alternative, anzi dopo una serie di rifiuti.
La storia di questa Juventus non cambia con un fatto di cronaca, non muta con un calcio di rigore, anche generoso, con una vittoria, con un pareggio, con una sconfitta. Il risultato è lultima delle notizie. Alberto Zaccheroni resta un uomo solo e nemmeno al comando.
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