New York non è America. Non questa che cerca di tirarsi fuori dalla crisi economica. Non questa che sta andando al voto di midterm. Manhattan è il nemico, è il serpente che ha tentato e fregato tutti. È l’oltretomba godereccio che ha infranto sogni, invece di crearne. Il 2 novembre dentro la urne degli Stati Uniti ci sarà la più grande presa di distanze collettiva del Paese dalla sua città più importante, da quello che era il suo punto d’arrivo e che adesso sembra il solo il punto di non ritorno. Per la prima volta l’America vota sapendo che oltre a un partito, a un politico, a un’idea volterà le spalle a una città e al suo modello. New York ha già perso, o questo pensano i candidati che l’hanno usata come termine di paragone negativo, come esempio da non imitare, anzi da cancellare. Il demonio è la finanza, l’inferno è la città che ne è l’indirizzo d’abitazione: Wall Street e gli eccessi, la Borsa e le sue false aspettative, i banchieri e la loro avidità. Tutto quello che un tempo era il simbolo della felicità americana, adesso è l’icona della depressione.
New York demonizzata piace sia ai repubblicani sia ai democratici. I primi picchiano duro evidenziando i programmi di salvataggio delle grandi banche in difficoltà varati dall’Amministrazione del presidente Barack Obama. I secondi criticano i repubblicani (e Wall Street) per l’appoggio offerto alla prospettiva di una privatizzazione della previdenza sociale o per il desiderio di mantenere gli sgravi fiscali che Obama vuole revocare ai più ricchi e alle società private.
Ci sono più di duecento candidati sparsi in tutta l’America che, secondo il New York Times, finora hanno speso più di 100 milioni pur di mandare in onda campagne pubblicitarie che fanno a pezzi New York e i suoi soldi che non dormono mai. Il canovaccio è quasi sempre lo stesso: il proprio avversario viene massacrato legandolo all’immagine dell’avidità o degli aiuti governativi. Manhattan è uno sfondo quasi criminale, un luogo falso, ipocrita, ladro che sta danneggiando gli Stati Uniti. Così Jim Marshall, un deputato democratico della Georgia, viene mostrato mentre guida per New York un’automobile decappottabile con al suo fianco il presidente della Camera Nancy Pelosi. L’auto viene poi accolta da una pioggia di coriandoli a Wall Street. Rand Paul, candidato repubblicano al Senato per il Kentucky, viene attaccato per aver tenuto una raccolta fondi a New York, mentre sullo schermo appaiono immagini di una limousine e del Chrysler Building. Un candidato repubblicano a procuratore generale del Michigan è invece ritratto per le strade di Manhattan mentre indossa una maglietta con la scritta «I love Wall Street» e sventola uno stendardo della banca Goldman Sachs. Un altro spot mostra la Statua della Libertà avvolta da ombre minacciose, un altro ancora dopo l’immagine del segnale stradale di Wall Street inquadra un gruppo di banchieri e finanzieri mentre bevono cocktail e fumano sigari.
Siamo tutti newyorkesi non è più neanche un ricordo. Adesso è una specie di punizione. Come a dire: siamo stati tutti con questa città che ci ha illusi e poi ci ha strapazzati. L’11 settembre 2001, il patriottismo che aveva elevato Manhattan a rifugio universale dell’identità americana ed occidentale: non c’è più traccia di nulla. Una botta di vento ha cambiato tutto. Nel 2005, il candidato governatore del New Jersey, Jon Corzine, un ex di Goldman Sachs, era addirittura riuscito a farsi eleggere vantando la sua esperienza a Wall Street, come arma per fare quadrare i conti del Garden State.
Adesso una cosa così non gli permetterebbe neanche di avvicinarsi alla telecamera per girare il primo spot. New York è diventata malvagia e corrotta. Ammaccata dalle botte che prende a destra e a sinistra. Gli resta l’Europa che la guarda ammirata. Non è poco, ma non è la stessa cosa.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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