Chicago - «Benvenuto Maestro Muti», recita uno striscione sulla facciata del Symphony Center di Chicago, proprio di fronte al Millennium Park, accanto al quale un altro famoso italiano, Renzo Piano, sta ampliando lo storico Art Institute, uno dei principali musei della terza città degli Stati Uniti.
Per Riccardo Muti, che dal 2010 curerà la direzione musicale della Chicago Symphony Orchestra (Cso), la città ha preparato una vera e propria accoglienza da rockstar: basti vedere gli interminabili applausi che lo hanno accolto ieri per la sua prima conferenza stampa, nel foyer del Symphony Center, da quando è stata annunciata la nomina, all’inizio del mese scorso. Secondo il principale dei quotidiani della città, la Chicago Tribune, anche lo stipendio è da rockstar: 2,3 milioni di dollari l’anno tra il 2010 e il 2015. Una somma che secondo il quotidiano la Filarmonica di New York, che lo aveva avvicinato, non sarebbe stata in grado di offrirgli.
Scambiando alcune battute al termine della conferenza stampa Muti non smentisce, limitandosi a dire, con una grande sorriso, che da direttore «libero» avrebbe guadagnato molto di più, e che con la Chicago Symphony Orchestra è soprattutto una storia d’amore.
A vedere l’entusiasmo con il quale Muti è stato presentato alla stampa, non è difficile credergli. Andata avanti per anni, dopo la fine del periodo Daniel Barenboim, senza vero direttore musicale stabile, la Cso è ora convinta di avere trovato la persona giusta. Quella cioè con cui l’orchestra ha una «chemistry», la parola usata negli Stati Uniti per definire una grande passione fisica, come si è visto nella recente tournée insieme. L’orchestra e il direttore napoletano si conoscono bene e si apprezzano da anni. Per Muti la Cso è «uno dei più incredibili ensemble del mondo», e lo spiega con un esempio: a sua conoscenza è l’unica orchestra dimostratasi in grado di interpretare al volo il difficilissimo passaggio dei violini all’unisono del secondo movimento della terza sinfonia di Prokofiev senza dover essere ripresa.
Dei programmi futuri, Muti dà pochi dettagli («non sono un politico che fa promesse, sono soltanto un musicista», dice), limitandosi a spiegare che il repertorio andrà dal barocco al contemporaneo (con opere commissionate a compositori anche non americani), che inviterà direttori e solisti prestigiosi, che vorrà portare l’orchestra nelle scuole, o anche nelle carceri.
Il maestro è in gran forma, alternando passaggi filosofici e quasi metafisici (oltreché didattici quando spiega come fruire la musica contemporanea), a momenti pieni di humour. Chissà se è vero: Muti sostiene di avere detto a una signora il cui telefonino squillò durante un concerto, un inatteso «risponda per cortesia». Della Scala, poco o niente. Sulla ben nota vicenda del terremoto dopo una collaborazione durata ben 19 anni il Maestro glissa, limitandosi a dire che «è impossibile da spiegare se non si capiscono alcuni atteggiamenti tipicamente italiani».
Ma un omaggio all’orchestra lo fa: ricordando il concerto a Sarajevo subito dopo la fine della guerra, quando l’Eroica di Beethoven dimostrò ancora una volta che la musica «è il miglior ambasciatore del mondo».Insomma, un incontro sereno e rilassato che fa ben immaginare quanto proficua diventerà la collaborazione tra uno dei più famosi direttori d’orchestra del mondo e i maestri della Chicago Symphony.
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