da Milano
È un altro tassello che va ad aggiungersi al mosaico della recessione, parola non più tabù nemmeno per la Federal Reserve dopo le esternazioni di mercoledì scorso di Ben Bernanke. Arriva dal mercato del lavoro Usa, sempre più esposto ai venti della crisi, con la Corporate America ormai incapace di chiudere in attivo il saldo tra assunzioni e licenziamenti. È successo per il terzo mese consecutivo: dopo gennaio e febbraio, anche marzo ha visto bruciati migliaia di posti di lavoro. Ottantamila per lesattezza, da sommare ai 152mila già persi nei due mesi precedenti, mentre il tasso di disoccupazione è salito al 5,1%, ai massimi dal settembre 2005. Inoltre, per la prima volta dal 2003, i tagli hanno riguardato solo gli impiegati (98mila in meno), mentre gli operai hanno visto crescere di 8mila unità le proprie file. Leuro ne ha approfittato, risalendo sopra quota 1,57 dollari (1,5774 il massimo di giornata).
«Continuiamo ad avere un mercato del lavoro in buone condizioni», ha detto il capo dello staff economico della Casa Bianca, che ha negato una contrazione del ciclo economico, preferendo parlare di crescita vicino allo zero nel primo semestre. Ma il deterioramento della situazione occupazionale viene considerato dai mercati lennesima prova di qualcosa di più serio rispetto a una per quanto brusca frenata. Così, si torna ad accarezzare lipotesi di un ulteriore taglio dei tassi, nella misura dello 0,5%, dopo la sforbiciata da tre quarti di punto decisa nellultima riunione da Bernanke, nonostante il voto contrario di due membri del board.
Anche se alcuni analisti sono convinti di vedere il costo del denaro all1% entro giugno (ora sono al 2,25%), resta da vedere come si comporterà il presidente della Fed. Che in più di unoccasione ha espresso lintenzione di non far mancare al Paese il supporto necessario, ma deve anche rintuzzare gli attacchi di quanti lo accusano di eccessivo interventismo soprattutto dopo aver orchestrato il salvataggio di Bear Stearns.
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