Usa, rallentano i licenziamenti ma Geithner resta preoccupato

All’orizzonte non si vede ancora il miglioramento atteso. Anche se il lungo periodo dei licenziamenti di massa sembra tramontato, le ferite lasciate dalla crisi sul mercato del lavoro Usa stentano a rimarginarsi. Tim Geithner, segretario al Tesoro, non si lascia infatti tentare da facili illusioni: la disoccupazione, ha detto ieri, «rimarrà inaccettabilmente alta per un periodo molto lungo».
Gli stimoli governativi, finora, non hanno prodotto grandi risultati. Il tasso dei senza-lavoro in marzo sarà reso noto oggi, e con buona probabilità risulterà invariato al 9,7%. Un livello, per l’appunto, inaccettabile per la Casa Bianca. Otto milioni di disoccupati generati dalla recessione, ai quali ne vanno aggiunti almeno altri sei, sono un peso pressoché insostenibile per qualsiasi amministrazione. Del resto, i milioni di americani a spasso costarono a Bush senior la riconferma alla presidenza. È un rischio che corre anche Barack Obama, se le aziende non riprenderanno ad assumere. Per ora, si limitano a eliminare meno posti: i licenziamenti programmati, in base al sondaggio di Challenger, Gray&Christmas, sono scesi il mese scorso del 55% a 67.611 da 150.411 dell’anno precedente. In calo anche i sussidi, a quota 439mila la scorsa settimana dai 445mila precedenti.
Questo fenomeno di ridimensionamento dei licenziamenti va avanti da un bimestre. Presto dunque per parlare di inversione di tendenza, ma qualcosa si muove. Se il miglioramento segnato dall’Ism manifatturiero in marzo, il più pronunciato da luglio 2004, troverà conferme nei prossimi mesi, la ripresa potrebbe rafforzarsi al punto da avere riflessi positivi sul mercato del lavoro.

In caso contrario, apparirà ancor più netto il paradosso, giudicato da Geithner «profondamente ingiusto», tra le banche rigenerate con i soldi dei contribuenti e l’esercito dei senza-lavoro. «Quello che è successo nel nostro Paese non dovrebbe mai più ripetersi - ha concluso il ministro del Tesoro - la gente era pagata per correre rischi enormi. Era un modo folle di gestire il sistema finanziario».

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