BengasiForse non ve ne siete accorti, ma qui la guerra sembra già finita. Sabato, come annunciato dal segretario alla Difesa statunitense Robert Gates e dal capo di stato maggiore Mike Mullen, gli aerei statunitensi hanno spento i reattori e sono tornati negli hangar. In pratica hanno detto addio alla missione sulla Libia e alla guerra della coalizione. Non era mai successo prima. Mai prima dora unoperazione internazionale o una missione Nato avevano visto la defezione della più potente e importante aviazione del mondo. Con Barack Obama succede anche questo. E gli effetti si vedono.
Qui a Bengasi si vive già un clima da fine stagione. O meglio di fine rivoluzione. Al fronte di Brega, 230 chilometri più a est, i ribelli appaiono immobili e rassegnati. Dopo le batoste subite nelle scorse settimane incominciano a fare i conti con la realtà. Comprendono di essere unarmata raccogliticcia ed improvvisata. Capiscono di non avere alcuna speranza di sfondare le difese lealiste. Fanno i conti con le profonde divisioni interne che alimentano scontri e rivalità intestine tra i diversi comandanti. I fatti parlano chiaro. Le truppe fedeli a Muammar Gheddafi saranno anche composte da poche migliaia di mercenari e lanzichenecchi neri, ma alla prova del fuoco e della battaglia si dimostrano assai più efficienti, meglio addestrate ed anche più coraggiose e motivate dellarmata brancaleone messa in piedi dal Consiglio nazionale di transizione. Unarmata priva di disciplina e di strategia dimostratasi assolutamente non in grado di avere la meglio sul nemico. E tantomeno di marciare su Tripoli.
Anche la Nato, dopo laddio alle armi americano, sembra fare i conti con la realtà di un fronte impantanato. Un fronte dove non vi sono più civili da salvare. Un fronte dove non si intravedono imminenti sbocchi politico-militari. Un fronte dove tutto sembra pronto per quel cessate il fuoco auspicato dalla risoluzione 1973. Un fronte dove nelle ultime settantadue ore le missioni e le incursioni della Nato sono drasticamente diminuite di intensità. Nellattendismo dellAlleanza Atlantica, nella rarefazione delle incursioni aeree, molti qui leggono un chiaro invito alla trattativa. Mustafa Abdel Jalil, numero uno del Consiglio di transizione nazionale, da sabato accenna ricorrentemente allipotesi di un cessate il fuoco.
E mentre i ribelli di Bengasi discutono e si dividono, Gheddafi si muove a tutto campo. Venerdì il suo emissario Mohammed Ismail ha raggiunto Londra e ha presentato agli interlocutori inglesi una serie di proposte messe a punto dal Colonnello. Domenica Abdulati al-Obeidi, nuovo ministro degli Esteri incaricato dopo la fuga di Mussa Koussa, ha incontrato il premier greco George Papandreou. I due hanno discusso, questa volta, le offerte messe a punto da Saif el-Islam, il rampollo pseudoriformista del Colonnello, deciso a tentare la carta di una successione almeno temporanea al genitore.
Si tratta di proposte chiaramente irricevibili e inaccettabili alla luce dellattuale situazione politico-diplomatica, ma alle quali lalleanza di volonterosi ha però poco da contrapporre. Ieri il nostro ministro degli Esteri Franco Frattini ha ricordato che lunico interlocutore possibile è il Consiglio nazionale di transizione sorto a Bengasi. Il problema resta però il futuro. Limmobilità del fronte, lattendismo della Nato e lassenza di una chiara strategia politico-militare fanno già intravedere il rischio di una partizione del Paese. Evitarla in queste condizioni non sarà facile. Lirruenza di Sarkozy, convinto di poter guidare i ribelli alla conquista di Tripoli, fa ormai i conti con la diffidenza di unAlleanza Atlantica poco disposta ad assecondare la voglia di grandeur francese. Laddio alle armi americano farebbe inoltre più tiepida e guardinga Londra spingendola a prestare più attenzione alle proposte negoziali suggerite dallItalia.
In questa situazione il rilancio della guerra sembra lultima delle opzioni possibili. Almeno fino a quando, e ci vorranno dei mesi, i ribelli non verranno addestrati, armati e trasformati in unautentica forza militare. Almeno fino a quando non verranno esperite tutte le opzioni «politiche» offerte dal «Fronte occidentale».
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