Controstorie

Come usare gli scandali per conservare il potere

Corruzione endemica, ma il presidente annuncia in tv l'arresto di 4 corrotti. E si prepara alla rielezione

Come usare gli scandali per conservare il potere

Troppo zucchero può far male. Devono averlo pensato spesso nelle scorse settimane Dmitri Yégorov, Víktor Mirónov, Mijaíl Kristanóvich e Nikolai Prúdnik, direttori dei quattro zuccherifici statali della Bielorussia, finiti in carcere nello scandalo che ha interessato il Paese ex sovietico. Uno scandalo che ha i contorni della spy story, con tanto di irruzione sulla scena del Kgb, l'ex servizio di sicurezza dell'Urss, che in Bielorussia non ha mai cambiato nome.

Tutto inizia lo scorso venerdì 24 gennaio quando il volo Belavia 899 diretto da Minsk a Monaco di Baviera sorvolava il cielo della Polonia. Poche miglia prima di entrare nello spazio aereo tedesco misteriosamente ha invertito rotta per fare scalo a Grodno, nell'ovest della Bielorussia. Secondo il quotidiano britannico The Indipendent, appena toccata terra sull'aereo sarebbero saliti otto agenti del Kgb. Uno di loro avrebbe letto una lista di nomi di passeggeri invitandoli a prendere le proprie cose e a scendere assieme ai famigliari. Erano Mijaíl Kristanóvich e Nikolai Prúdnik i quali a quanto pare si stavano per prendere una tempestiva vacanza. Il lunedì successivo Dmitri Yégorov, direttore dello zuccherificio di Skidel non si è presentato al lavoro, e non l'ha fatto neanche il martedì e per il resto della settimana. «Richiamato a Minsk», pare sia stata la scusa ufficiale. La stessa con cui è stata giustificata l'assenza di Víktor Mirónov, da due decenni responsabile della Zhábinka.

Per chi è abituato alle cose sovietiche la sparizione improvvisa significa solo una cosa: i quattro sono stati presi in consegna dal Kgb, che oltre al nome ha conservato anche i metodi. Per sei giorni non si è saputo nulla della sorte dei quattro, fino a quando in tv il Procuratore capo di Minsk non ha iniziato a parlare di un «affaire zucchero» senza svelare dettagli. Il velo sulla questione è stato sollevato il 4 febbraio dal presidente Aleksander Lukashenko in persona. Parlando alla tv nazionale ha raccontato di una «mafia della zucchero, qualcosa di mai visto in Bielorussia». Il presidente ha definito i sospettati «dei bastardi che rubano in pieno giorno» spiegando nel dettaglio come funzionava l'affare.

In Bielorussia il settore dello zucchero ottenuto raffinando le barbabietole - è una lucrativa azienda di Stato, nazionalizzata interamente negli anni Novanta, come circa il 60% dell'economia del Paese che ancora persegue il modello socialista. Fino a qualche anno fa oltre il 90% della produzione un mercato che vale oltre 100 milioni di dollari era destinata all'esportazione in Russia, ma il recente crollo dei prezzi della materia e la crescita della produzione interna russa hanno messo in crisi l'intera filiera. Il governo di Minsk ha stabilito un prezzo minimo circa 68 centesimi al chilo con cui lo zucchero deve essere venduto sul mercato interno per difendere il migliaio di aziende di stato che coltivano le barbabietole da trasformare. Quello che finisce a Mosca invece viene venduto a un prezzo inferiore del 40% in modo da essere concorrenziale. I sospettati fingevano di venderlo in Russia tramite una società statale con sede nella capitale russa, la Belasahar, e poi lo rivendevano sul mercato bielorusso, lucrando sulla differenza di prezzo. In realtà era una vendita fittizia, visto che lo zucchero non usciva neanche dai depositi. «Con i guadagni di diversi milioni di euro ha spiegato il presidente i bastardi hanno comprato appartamenti e auto di lusso. Ora tutti hanno testimoniato. Nessuno è stato picchiato, a nessuno sono state chiuse le mani nella porta. Sono semplicemente stati fatti sedere e gli è stato detto di confessare la verità». Adesso rischiano fino a 15 anni di prigione.

Potrebbe sembrare solo uno scandalo di corruzione in un Paese in cui la corruzione fino a un certo livello è tollerata vista la natura opaca del potere. Un modo antico per punire qualcuno e mandare messaggi al Paese. Ma questa volta c'è di più. Lo scandalo arriva alla vigilia delle elezioni presidenziali che si dovrebbero tenere questa estate e si inserisce in un momento di forti tensioni tra Minsk e Mosca, storico alleato che negli anni ha sostenuto economicamente e politicamente il regime. Non è affatto mistero che Putin e il presidente bielorusso soliti condividere sciate e partite di hockey oltre alle vacanze sul mar Nero siano ai ferri corti. Lukashenko, che è al potere dal 1994, infatti teme che Putin per ragioni interne voglia annettere la Bielorussia, dando seguito a un trattato del 1997, firmato quando ancora c'era Yeltsin, che prevedeva l'unione tra i due Paesi. Per cui uno scandalo che coinvolga in parte la Russia torna utile come strumento di propaganda, per agitare lo spauracchio dell'ingerenza di Mosca negli affari interni, ingerenza mal vista dalla maggioranza della popolazione che teme l'effetto Ucraina. Putin intanto ha giocato la carta del freddo: la Bielorussia dipende da Mosca per la quasi totalità del suo fabbisogno energetico e a gennaio ha tagliato le forniture di gas e petrolio del 95%. Al punto che un infuriato Lukashenko ha minacciato di spillarlo dagli oleodotti che vanno verso Polonia e Germania.

In questo contesto ha fatto rumore la visita, lo scorso 1° febbraio, di Mike Pompeo che, incurante delle sanzioni in vigore dal 2008, è il primo segretario di Stato Usa a metter piede a Minsk dal 1994. Durante il colloquio con Lukashenko, Pompeo avrebbe offerto petrolio a prezzo competitivo per sopperire al crollo delle forniture russe, causando l'ira di Mosca.

Perché una cosa è chiara da sempre: nel contesto geopolitico il petrolio è più dolce dello zucchero.

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