«Usati come scudi umani Era come essere in guerra»

I testimoni: «Volevano prenderci i soldi, ma poi sono impazziti»

Elena Girani

da Trecate (Novara)

Sono saliti sul pullman alla chetichella. Hanno subito cercato di occupare i posti nell'ultima fila. Con loro portavano delle borse, all'interno alcune bottiglie. Nessuno della quindicina di passeggeri, quasi tutti pendolari della linea Alessandria-Acqui, ha prestato attenzione. Sono rimasti silenziosi fino a quando uno di loro, l'albanese ferito poi nel corso del conflitto a fuoco, si è alzato e si è avvicinato all'autista. «Sembrava volesse chiedere un'informazione», ha spiegato uno dei ragazzi sequestrati, ma dopo qualche minuto è stato il colpo sordo di uno sparo ad attirare l'attenzione di tutti i passeggeri a bordo. L'uomo, per convincere l'autista a seguire le sue istruzioni, ha sparato in aria. Solo allora i passeggeri si sono accorti che impugnava una pistola e hanno cominciato ad avere paura. Poi l'intervento di due poliziotti fuori servizio ha messo a nudo la situazione, ha fatto salire la tensione, moltiplicato la paura. Aggrediti dai due complici dell'albanese, entrambi gli agenti sono rimasti feriti. Uno, Egidio Valentino, è stato fatto scendere all'ingresso dell'autostrada, l'altro, Roberto Curello, ha vissuto tutto il sequestro. E ora è in stato confusionale, come ha riferito la moglie corsa all'ospedale di Novara: «Ha ricordi molto sfocati di quanto accaduto - racconta - Ha picchiato la faccia e la testa». Tutti gli altri testimoni concordano su una cosa: «Sul pullman c'era un silenzio irreale». «Erano degli squilibrati - raccontano i passeggeri -. Volevano rapinarci, ma poi hanno perso la testa». Una follia scoppiata dopo la scoperta che a bordo c’erano i due agenti, che «non sono rimasti con le mani in mano»: «Non se l’aspettavano: e allora sono come impazziti».
Una delle sette donne presenti con coraggio ha chiamato al cellulare il figlio e in un sussurro gli ha detto soltanto: «Qui c'è un pazzo con la pistola». È lui stesso a raccontare quella strana chiamata della madre. La donna non fa in tempo a dire di più perché i sequestratori, così sembra da una prima ricostruzione, si fanno consegnare telefonini, orologi e denaro.
Di pazzi sul pullman ce ne sono tre. Subito dopo aver minacciato l'autista prendono di mira una ragazza bionda che siede da sola. Uno di loro si avvicina - dicono i testimoni - chiude le tendine per impedirle di guardare fuori dal finestrino. Uno dei complici lo incita. «Continuava a ripetere sparale, sparale alla testa», racconteranno i passeggeri che sedevano dietro alla ragazza. «Sembravano davvero pronti a tutto, qualcuno di noi è stato legato con del nastro isolante». Si accavallano i ricordi nei flashback delle lunghe ore in mano ai sequestratori, che «hanno visto il posto di blocco e hanno detto all'autista di andare avanti». Il terrore ha il sopravvento quando i dirottatori cospargono di liquido infiammabile i sedili per incendiare tutto. È in quel momento che i più giovani - confessano - hanno «temuto di morire».

E poi durante il conflitto a fuoco: «Ci hanno usato come scudi umani, pensavamo che queste cose succedessero solo in guerra». Attimi di terrore che hanno mozzato il fiato quando «le pallottole hanno cominciato a sibilare». Poi le voci concitate dei militari, la scoperta di non avere neppure un graffio e il pianto liberatorio di molti.

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