Come uscire dal caos libico? Solo negoziando con Gheddafi

Prendete una manciata di voci non confermate, mescolatele con tanta propaganda, versate l’impasto su internet, trasformatelo in notizia su Al Jazeera, fatelo lievitare grazie a Barack Obama, aggiungeteci l’inconcludenza europea, cucinate a fuoco lento per tre settimane ed ecco pronto il disastro Libia. Un disastro di proporzioni epocali alle porte di casa. Un disastro che rischia di far sembrare bazzecole lontane la Somalia e l’Afghanistan. Un disastro che c’impone di scegliere tra una guerra impossibile e una cinica trattativa.
Le vie d’uscita del resto non abbondano. La torta avvelenata confezionata da chi ha maneggiato con inconcludente retorica l’impasto libico è sotto gli occhi di tutti. La fine del Colonnello, data per scontata dai fans delle “rivoluzioni” via internet, è più lontana che mai. Il colonnello non solo resta in sella, ma si prepara a regolare i conti con i ribelli di Bengasi. Dategli qualche giorno e le sue milizie raggiungeranno Tobruk, stringendo tra mare e cannoni l’intera Cirenaica. A quel punto l’Unione Europea e Barack Obama dovranno fare i conti con un doppio incubo. Da una parte dovranno decidere se riallacciare i rapporti con una Libia retrocessa in tre settimane da partner commerciale a regno del grande Belzebù. Dall’altra dovranno cercare di preservare i propri interessi petroliferi e salvare la Cirenaica da una carneficina che peserebbe sulle coscienze dell’Occidente. Le strade per salvare la faccia e non regalare a Cina e India il greggio libico non sono molte. Le sanzioni economiche richiedono mesi per far effetto mentre la no fly zone - invocata da Londra e Parigi e sostenuta dalla Lega Araba - rischia di aver lo stesso effetto di un’aspirina su una metastasi. Bloccherà gli aerei, ma non impedirà al Colonnello di massacrare gli oppositori.
Per salvare petrolio e ribelli restano solo due strade, estreme ed opposte. Una porta all’intervento militare immediato. Ma chi se ne assumerà la responsabilità? Obama non esclude - a parole - qualsiasi azione, ma il Pentagono fa capire di non aver intenzione di lanciarsi in nuove avventure militari. La riluttanza di Washington permette, viste le tradizionali sinergie politico-militari, di escludere qualsiasi iniziativa inglese. Resterebbero i francesi, ma il presidente francese Sarkozy ha già chiarito di non voler andare al di là dei raid aerei previsti da un’eventuale no fly zone. Archiviata l’ipotesi militare non resterà dunque che turarsi il naso e riprendere la strada cinica, ma consueta, della trattativa con Gheddafi. Londra, Washington e Parigi l’hanno già percorsa nel 2003. Allora il Colonnello consegnò i propri arsenali nucleari e chimici e si garantì - in cambio di congrui risarcimenti - il perdono per gli attentati costati la vita nel 1988 alle vittime di Lockerbie e quelle di un aereo francese disintegrato da una bomba libica. Stavolta a voler esser cinici la strada è persino meno ignobile. Stavolta il Colonnello non ha sparso sangue occidentale, ha solo spento nel sangue una rivolta contro i suoi oppositori interni. Lo ha fatto con metodi e mezzi spregiudicati, ma lo ha già fatto decine di volte nel passato e nessuno ha mai pensato per questo di metter fine al suo regno o di rinunciare al suo petrolio.
L’appiglio per una diplomazia internazionale alle corde è - del resto - a portata di mano. Basterà che qualcuno si faccia promotore di un negoziato tra il raìs e i ribelli asserragliati a Bengasi e il gioco sarà fatto. Il Colonnello dovrà solo accettare un negoziato con i propri nemici e un piano per una pacifica riconciliazione nazionale, magari garantendo una tiepida autonomia alla ribelle Cirenaica. A quel punto Belzebù perderà nuovamente zoccoli e corna, Bengasi sarà salva e l’Occidente avrà il suo greggio.

Come soluzione non sarà né bella né nobile, ma sarà comunque migliore dei nefasti errori commessi nelle ultime tre settimane. E soprattutto sarà la sola in grado di salvare le vite di migliaia di libici e gli interessi economici di casa nostra.

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