Luca Rocca
da Roma
E adesso chiedetegli scusa. Lurlo rimbomba mentre il generale Franco Ferri scoppia a piangere non appena il presidente della Corte dassise dappello scandisce il verdetto di Ustica che assolve lui e il suo vecchio comandante, Lamberto Bartolucci, e demolisce quel poco di teorema rimasto in piedi dopo lassoluzione in primo grado di altri due alti ufficiali, Zeno Tascio e Corrado Melillo, accusati ingiustamente pure loro per un quarto di secolo.
Lex capo di Stato maggiore dellarma azzurra e il suo vice vanno dunque assolti perché il fatto non sussiste. Al contrario di quanto ci è stato raccontato per anni, Bartolucci e Ferri non hanno depistato, non hanno mischiato le carte, non hanno tramato contro lo Stato. Non meritano i sei anni di carcere richiesti dal procuratore generale. Li accusavano di aver omesso di comunicare alle autorità governative i risultati dei dati del 27 giugno 1980 sulla presenza di tracce aeree sospette intorno al Dc9 Itavia. In sostanza di aver occultato il riferimento a due plots radar denominati «- 12» e «- 17» (che avrebbero dimostrato ciò che poi le perizie smentiranno, ovvero lesistenza di misteriosi caccia) ma solo fino al mese di luglio. Una presunta «consegna del silenzio» imposta da Bartolucci non si sa bene a quale suo sottoposto e che a leggere gli atti sarebbe durata non decenni ma appena un mese visto che poi sarebbe venuta fuori ufficialmente solo ad ottobre, e a quel punto prontamente riferita allautorità politica. Ma cè di più: nel consegnare i tabulati radar, si è scoperto che lArma azzurra evitò di cancellare le prove dei «plots», cosa che avrebbe dovuto fare se fossa stata sua intenzione occultare la verità.
È stato un processo rapidissimo, con arringhe spietate della Difesa, un arroccamento disperato della pubblica accusa e delle parti civili. Poi, ieri, dopo sei lunghissime ore di camera di consiglio, persino i giudici popolari si sono convinti che la prescrizione con la quale serano «salvati» in primo grado Bartolucci e Ferri andava cancellata insieme allassunto del «non potevano non sapere» col quale si erano trascinati a processo i massimi vertici dellAeronautica militare.
Se questo processo è finito come doveva finire è perché decenni di indagini non hanno portato una prova certa, inconfutabile, del depistaggio. Solo teoremi, preconcetti, convinzioni. Le stesse che nel processo di primo grado si sono infrante contro il muro (non di gomma) del dibattimento dove si è appurato, prove alla mano, che la storia di Ustica va riscritta perché è davvero tutta unaltra storia. Tanto per cominciare il Dc9 Itavia non è caduto per un missile ma molto probabilmente per una bomba a bordo; poi il famoso Mig libico non è precipitato sui monti calabresi della Sila in contemporanea allaereo civile bensì non uno, non due, ma ben 21 giorni dopo; quindi non si è trovato un riscontro né della presenza di una portaerei nel Tirreno né di una violentissima battaglia nei cieli. Niente di niente, per non dire delle decine di «morti sospette» di cui si è tanto favoleggiato e di cui nemmeno una è risultata tale.
Razionalizzato lo choc della sentenza, il generale Ferri commenta a mezza bocca: «Che cè da dire? che sono stati 14 anni di gogna, ora sono finalmente soddisfatto». Una statua di sale la presidente dellAssociazione dei familiari delle vittime, la senatrice Ds, Daria Bonfietti: «Questa sentenza è un discorso vergognoso non solo per le vittime, ma per tutti gli italiani. La magistratura non è riuscita a trovare i responsabili di questa mancata verità». A ruota Alfredo Galasso, difensore di parte civile: «Una sentenza profondamente ingiusta».
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