Uno a zero per gli ultranazionalisti nelle presidenziali serbe con Tomislav Nikolic, il candidato deciso a non mollare il Kosovo, che batte al primo turno il capo dello stato uscente, leuroatlantico Boris Tadic. La partita, però, e ancora aperta e si chiuderà il 3 febbraio con il secondo turno. Nel primo turno delle elezioni presidenziali serbe, il candidato del partito radicale Nikolic ha ottenuto il 39,4% delle preferenze contro il 35,4% del capo di Stato uscente, Boris Tadic, che corre per il Partito democratico (Ds). Il suo insidioso sfidante, classe 1952, si è presentato alle elezioni con toni più morbidi del solito per attirare voti fra i moderati e gli indecisi. Il candidato del Partito radicale serbo è un ultranazionalista che guarda sempre alla Grande madre Russia. Formalmente il presidente del partito è ancora Voijslav Seselj, dietro alle sbarre allAia per crimini di guerra nellex Jugoslavia. Sul Kosovo non vuol sentire parlare di indipendenza e chiede a gran voce basi russe in Serbia per sfidare la Nato nella provincia ribelle a maggioranza albanese. Lo slogan della campagna elettorale è stato «con tutto il cuore» ed ha avuto gioco facile a denunciare corruzione e malaffare. Promette salari e pensioni migliori con lobiettivo di far cadere «il regime che ha preso il potere nel 2000», ovvero al crollo di Slobodan Milosevic.
Nikolic è alla quarta candidatura alle presidenziali e nel 2003 laveva spuntata, ma non divenne capo dello Stato perché aveva votato una percentuale troppo bassa di serbi. Imbucando la sua scheda nellurna ha ribadito che «la Russia è un partner più vicino alla Serbia, ma se lUnione europea vuole aprire le porte, senza imporci ulteriori ostacoli, saremo lieti di aderire».
Tadic sentiva nellaria che sarebbe arrivato secondo. Ieri, andando al seggio, aveva messo le mani avanti: «Questo voto è la prima metà della partita. La seconda si svolgerà il 3 febbraio e sarà unoccasione per decidere di conquistare lEuropa, una vita migliore, salari e pensioni più alte e sicurezza». Euroatlantico, progressista, moderno, fotogenico e spigliato è il volto della nuova Serbia che cerca di sganciarsi per sempre dal passato e dal pantano dei Balcani. Nato a Sarajevo, 49 anni fa, è figlio di un filosofo. «Per una Serbia forte e stabile» è stato lo slogan della sua campagna elettorale. «Allo scadere del mio secondo mandato prometto che la Serbia avrà finito il proprio cammino verso l'integrazione europea», sostiene Tadic. Contrario allindipendenza del Kosovo, vuole affrontare la crisi con moderazione senza far precipitare il paese in una nuova guerra balcanica. Fautore dellingresso della Serbia nella Nato, fin dai tempi in cui era ministro della Difesa, è il candidato preferito dallOccidente.
La novità è stata laffluenza alle urne: circa il 61% dei 6 milioni e mezzo di serbi chiamati a votare. Un dato inaspettato ed in controtendenza rispetto alle precedenti elezioni. Evidentemente il popolo serbo ha sentito limportanza della sfida. Il presidente è anche capo delle forze armate ed in vista della dichiarazione unilaterale di indipendenza del Kosovo ricoprirà un ruolo cruciale.
Sugli 8.500 seggi aperti nel paese, 277 si trovavano nelle zone serbe del Kosovo, dove il voto è andato in massa a Nikolic o al candidato del partito socialista fondato da Slobodan Milosevic. Attorno al futuro della provincia ribelle si giocherà il ballottaggio delle presidenziali, fra Tadic e Nikolic, del 3 febbraio. Lago della bilancia dovrebbe essere il premier serbo, Vojislav Kostunica, che al primo turno ha appoggiato, anche se non a spada tratta, Velimir Ilic, candidato della Nuova Serbia. I suoi consensi, che secondo le proiezioni si aggirano sull8%, saranno determinanti. Kostunica governa con il Partito democratico di Tadic, ma i due si odiano e sono rivali politici da sempre.
Ha collaborato, da Belgrado, Stefano Giantin
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