Va ora in onda Telekabul Gli anti Cav si ritrovano su La7

RomaPiù Telekabul che Telesogno, per un semplice motivo: l’informazione costa poco e rende bene. A La7 hanno fatto due conti sull’effetto Mentana, che ha fatto lievitare la media di rete di un punto, a fronte di un costo fisso modesto (per un grande network nazionale, circa 300mila euro annui per la direzione del tg) e una parte variabile agganciata ai risultati di share. Lo stesso contratto che Giovanni Stella detto «Er Canaro», l’ad della tv di Telecom noto per la freddezza nel tagliare i costi, avrebbe già preparato per Michele Santoro, esule di lusso del servizio pubblico. Se il tg di Mentana (a sua volta «esule» Mediaset) ha fatto conoscere a La7 punte di share mai viste, oltre il 10% (considerato che la media della rete è 3,5%), Santoro potrebbe fare altrettanto per la prima serata (ed eventuali due seconde) con un talk show e forse delle docufiction, passione di Santoro. L’informazione è l’unica strada per un editore che non sta investendo più di tanto nel prodotto, che perde diverse decine di milioni di euro all’anno, ma che vuole consolidare la crescita dello share registrata nell’ultimo anno. Dunque, non potendo produrre fiction o varietà costosi, si punta al giornalista anchorman, uno che a Raidue raddoppia la media della rete. Con un orientamento politico che paga, quello terzopolista sostanzialmente antiberlusconiano, il più gradito al pubblico di La7. Basta vedere l’organigramma dell’informazione della rete, che si posiziona tra Current tv, il Fatto quotidiano e certo terzismo alla Paolo Mieli (solo per un caso il figlio Lorenzo produce con la sua FreemantleItalia già un programma di La7, Niente di personale).
Per ora sono solo tre le prime serate di informazione su La7, abbastanza schierate sul progressismo borghese tendenzialmente ostile all’asse Cavaliere-Bossi. Con diverse sfumature, dalle fumisterie uliviste di Gad Lerner il lunedì sera (con l’Infedele), alle chiccoserie con la puzza sotto il naso della Bignardi (le sue Invasioni barbariche, molto sotto tono, sono il venerdì in prime time), alle inchieste con dibattito su Exit della D’Amico (ancora indecisa tra pallone e attualità). Un giovedì con Santoro andrebbe a pallino per i piani del «Canaro», sempre che la Rai non abbia offerto una collaborazione più allettante all’inventore di Samarcanda e altri incubi berlusconiani.
Non è riuscito, a quanto pare, il colpo Fabio Fazio, che con tutto il pacchetto (firmato Endemol) di Che tempo che fa sarebbe costato forse troppo per i budget di La7. Come anche il corteggiamento di La7 alla Gabanelli non è andato in porto. Ma restano altri spazi di intelligenza antiberlusconiana, quello di Otto e mezzo della Gruber e poi le due puntate settimanali di In Onda con Luca Telese e l’ex santorina Luisella Costamagna. Dentro bisogna metterci anche Maurizio Crozza, che prima del ballottaggio ha lanciato alla grande Bersani regalandogli una battuta efficace per commentare poi i risultati («Abbiamo smacchiato il leopardo...»).
Sull’arrivo di Michele Santoro a La7 si è sbilanciato (difficilmente per un’iniziativa sconosciuta ai vertici) il tg di Mentana, che ha parlato di una «trattativa molto avanzata», forse per accelerare una decisione che sembra spetti solo al conduttore ormai ex Rai. Sarebbe un passo concreto per un vero terzo polo televisivo, una vecchia ambizione della Telecom fin dai tempi di Colaninno che, inglobata Telemontecarlo, varò le grandi operazioni con l’acquisto di tre attaccanti: Fabio Fazio (poi mai andato in onda), Gad Lerner e Giuliano Ferrara (corteggiò anche Mentana che però preferì restare al Tg5). Poi il sogno si è arenato, schiantandosi su numeri che sono costati cari alla controllante Telecom. In dieci anni Telecom Italia media (l’editrice di La7) ha accumulato buchi per un miliardo e mezzo di euro, nel 2010 ha registrato 92 milioni di perdita operativa, il valore della società (scrive il Fatto) è passato da 747 a 221 milioni. Insomma le cose non vanno benissimo. A parte l’informazione, che dal mattino con Omnibus a certi appuntamenti serali si è guadagnata una nicchia di ascolto importante.

Se la Rai scarta programmi di informazione che fanno share ma sono politicamente insostenibili, è nella logica della cose che un network privato posizionato sulle «news che gli altri non danno» ci si butti. Può essere la riedizione di Telekabul. Almeno non c’è canone.

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