Roma

Va in scena l’Europa

Inizierà il prossimo 24 settembre la XIV edizione del festival che raccoglie il meglio del teatro europeo

Va in scena l’Europa

Laura Novelli

Sono passati dodici anni da quando alla Casina Valadier, in una bella serata di fine giugno, Giorgio Strehler salutava l’ingresso del Teatro di Roma nell’allora giovane Unione dei Teatri d’Europa (all’epoca da lui stesso presieduta) parlando di culture e lingue diverse votate a formare un’unica grande famiglia, citando Goldoni e Cechov, chiedendosi come fosse possibile «pensare» e «fare» un teatro europeo, auspicando, infine, che proprio la capitale ospitasse quanto prima un’edizione del festival dell’Unione.
Un sogno poi accarezzato e condiviso da tutti i direttori che si sono avvicendati fino ad oggi alla guida dello stabile capitolino. Un sogno che lui, geniale artefice di messinscene e progetti memorabili, purtroppo non ha potuto vedere realizzato ma che finalmente prende corpo, animato dal suo ricordo e dal suo prezioso insegnamento.
E forse non è un caso che questa XIV edizione del festival - apertura prevista per il 24 settembre - sia più ricca delle precedenti. Ci sono voluti anni, ma adesso Roma sembra essere davvero pronta ad ospitare un evento che ne riflette la crescente vocazione internazionale («la nostra città - commenta Maurizio Scaparro - ora ha una porta spalancata sull’Europa di cui dobbiamo andare molto fieri») e che si carica di particolari tensioni etiche se inquadrato in un momento storico difficile e cupo come quello attuale. I numeri parlano da soli: undici i Paesi coinvolti, sedici i prestigiosi teatri pubblici europei che presenteranno i loro lavori, 18 gli spettacoli previsti per un totale di 27 repliche che si snoderanno tra Argentina, India e Valle.
Ma, al di là delle cifre, conta il valore che questa rassegna è chiamata ad assumere sia come espressione di cultura e civiltà teatrale sia come momento di incontro e scambio per il pubblico, i cittadini, gli stranieri attesi nell’Urbe per l’occasione. È lo stesso Walter Veltroni a sottolineare questo aspetto della manifestazione, legato a quella «irripetibilità culturale del Vecchio Continente - dice - che risiede nella sua storia, nei suoi talenti, nella sua produzione artistica passata e presente. Esiste cioè un linguaggio conosciuto europeo che è fatto di culture diverse, capaci però di contaminarsi, dialogare e, soprattutto, di parlare alla gente». Culture che mescolano antico e moderno, classico e nuovo traducendosi, nello specifico del festival romano (organizzato dal Teatro di Roma in sinergia con l’Eti, il Comune, la Regione, la Provincia di Roma e il Teatro Stabile di Torino), in un programma che «mette insieme - spiega Giorgio Albertazzi, direttore dello stabile capitolino - la tradizione del grande teatro europeo con linguaggi più innovativi».
Le due anime della scena occidentale moderna convivono, dunque, all’interno di un cartellone raffinato ed eterogeneo dove, accanto ai nostri Mario Martone e Luca Ronconi, figurano nomi illustri della scena estera come il francese Roger Planchon (autore, regista, attore e direttore fino al 2002 del celebre Théâtre National Populaire), il tedesco Heiner Goebbels (compositore e regista, noto soprattutto per la radicalità del suo stile musicale), il polacco Krystian Lupa (uno dei maggiori maestri del teatro dell’Est) e, al contempo, giovani esponenti della regia contemporanea.
Basti citare il catalano Àlex Rigola, in programma con un Riccardo III estremamente fisico che rievoca il precedente Giulio Cesare visto proprio a India l’anno scorso, il lettone Alvis Hermanis, architetto di un originale lavoro ispirato a Vladimir Sorokin, e il lituano Oskaras Korsunovas che presenta un Romeo e Giulietta (debuttato a Berlino nel 2003 e già pluripremiato) in cui la tragica vicenda dei due amanti veronesi trova ambientazione in una pizzeria anni Cinquanta tra pentole, tegami, lieviti e farina.
Nel complesso, a prescindere da stili e lingue sceniche ovviamente differenti, questo attesissimo evento internazionale conferma la forza del repertorio drammaturgico classico (tra gli autori più rappresentati Shakespeare, Cechov e i tragediografi greci) e del teatro di parola, rinsaldando però il legame indissolubile che stringe il passato all’oggi e al futuro.
Non è un caso che ad aprire la kermesse sia la ripresa dell’Edipo a Colono di Sofocle diretto da Martone: eloquente atto di accusa contro la guerra e la violenza di ogni tempo che parla le parole di un mito quanto mai attuale.
«È ovvio che non si sconfigge il terrorismo - riprende il sindaco - con la poesia e con il teatro.

Tuttavia, iniziative come questa dimostrano la volontà di non cedere alla paura, di non smettere di condividere i momenti più alti dell’espressione della nostra cultura».

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