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In vacanza senza il wifi

In vacanza senza il wifi

È lo stesso concetto delle spiagge per nudisti, dove si va soltanto se ce lo si può permettere dal punto di vista (degli altri) estetico, oppure se si è in grado di fregarsene del proprio lato («a» o «b» che sia) estetico. Nudi o senza wi-fi, la sostanza non cambia. E così, come esistono, da lunga pezza e senza nemmeno le pezze al culo, le spiagge per nudisti, allo stesso modo esistono, da poco, i posti appositamente de-wifizzati dove trascorrere le vacanze.

Ora, la domanda è questa: sei più esibizionista, più elitario, più snob se vai in giro senza mutande o senza smartphone? È più eccentrico confinarsi in una spiaggia dove «il comune senso del pudore» è stato sospeso, lasciandoci così senza la rete della morale pubblica, o in una spiaggia (o albergo, o baita, o agriturismo...) dove non funziona un'altra rete, che ha maglie molto più strette della precedente, cioè quella protettiva della connessione? È più «come mamma l'ha fatto» lo svergognato o lo scollegato?

Sono quesiti molto social, o quantomeno da ombrellone, per entrambe le categorie, chi sceglie il costume adamitico (ed evitico) e chi vuole provare l'ebbrezza dell'irreperibilità, i Robinson Crusoe a singhiozzo. Ma siccome i nudisti non disdegnano né l'ombrellone, né lo smanettamento al cellulare, ecco qua la risposta: oggi se vuoi essere davvero «in» devi essere «out». E per essere «out» non serve più mostrare gli attributi maschili o femminili, occorre esibire la propria capacità di estraniarsi dal resto del mondo. Uno che non era solito né a spogliarsi di fronte a tutti, né tanto meno a farsi gli affari suoi coram populo, Blaise Pascal, tre secoli e mezzo fa scrisse che «tutta l'infelicità dell'uomo deriva dalla sua incapacità di starsene nella sua stanza da solo». Voleva dire che noi, essendo da alcuni millenni, per convenienza, non per scelta, animali sociali, abbiamo perso l'attitudine a fare i conti con la solitudine.

E aveva perfettamente ragione. Basta camminare per strada o salire sul tram, sul treno o sulla metropolitana, basta entrare in un ristorante, per accorgersene: tutti lì a capo chino come pellegrini del web penitenti, a consumare pollici e giga nel tentativo di trovare conferma, ogni due o tre minuti, del proprio essere al mondo. Chi non lo fa non è considerato un vero «out» di quelli che dicevamo prima, ma uno che non ha amici (alias followers), che non ha personalità (alias profilo), che non ha interlocutori (alias contatti). Insomma, uno sfigato, un reietto, un bandito dall'umano consesso.

Ma poi arrivano le sospirate vacanze, quando a vacare, o a svaccare, siamo tutti capaci, apocalittici e integrati. Si tratta soltanto di trovare un buco nella rete, un pertugio, un nascondiglio. Se poi è de-wifizzato, tanto meglio.

Una volta tornati a casa, avremo un mucchio di sensazioni con cui mendicare un «like». O no?

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