«Vado a Hollywood grazie alla fortuna e a papà Vittorio»

L’attrice girerà negli Usa «L’amore ai tempi del colera»: «Mi spaventa solo l’idea di una passione lunga mezzo secolo»

Cinzia Romani

da Napoli

«Oggi è una giornata speciale per me», dice Giovanna Mezzogiorno, gli occhi splendenti come il mare di Partenope, che ha di fronte. Effettivamente, ’a jurnata rifulge, dunque gli auspici sembrano buoni. Ma la stella del nostro firmamento cinematografico, che tornerà a brillare a Hollywood (dopo le recenti prove generali d’una nomination per La bestia nel cuore di Cristina Comencini e in attesa del primo ciak de L’amore ai tempi del colera, diretta da Mike Newell, regista di Quattro matrimoni e un funerale e di Harry Potter e il calice di fuoco), è contenta per altro. Nel nome di suo padre, infatti, ieri l’interprete romana classe 1974 ha conferito il Premio Vittorio Mezzogiorno, nato in occasione del decennale della scomparsa del popolare attore di Cercola. A vincerlo sono stati la capitolina Cristiana Capotondi, lanciatissima dopo Notte prima degli esami e da luglio nei panni di Teresa (per l’erigendo film di Roberto Faenza I viceré) e Davide Enia, artista siciliano.
«Dietro un film o una fiction ci sono strutture che nascono, nuovi posti di lavoro: sono onorata d’essere la madrina della Film Commission della Regione Campania, perché è qui, a Napoli, che mio padre ha fatto una lunghissima gavetta», sottolinea la star, vestita nei toni del marrone con una semplicità che non mortifica quel suo fascino interiore, ottimo propellente per autori di calibro quali Ozpetek o Muccino. «A me non è capitato di fare gavetta», aggiunge, quasi a scusarsi di aver intrapreso il sentiero della fama a passo di carica. Eppure, presto sarà lei la ragazza più bella del Caribe, quella Fermina Daza che nel 2007 rivivrà sul grande schermo. E da noi c’è già molta attesa per la resa cinematografica all star cast de L’amore ai tempi del colera. Non sono molte, infatti, le dive italiane che hanno sfondato in America (da Anna Magnani a Sofia Loren, da Valeria Golino a Asia Argento, per tacere di Monica Bellucci e Ornella Muti). Tanto più che Giovanna Mezzogiorno, ieri accompagnata dalla madre Cecilia Sacchi e dal suo manager Saverio Ferragina, è giovane, ma già carica di targhe d’argento e grolle d’oro, coppe e premi.
Quanto conta, per un attore, la gavetta?
«Molto. Ma è importante che qualcuno ti valorizzi. Spettacolo non vuol dire solo noi, gli attori più noti. Ma significa pure economia rigogliosa e attiva. Anche altre città, come Roma o Bari, avevano richiesto a mia madre Cecilia e a me, d’intitolare il Premio Mezzogiorno. Ma ci ho tenuto tanto a farlo qui, a Napoli. Dove la questione del lavoro è urgente».
A Ferragosto cominceranno, in Brasile, le riprese de L’amore ai tempi del colera, produzione Usa da quaranta milioni di dollari. Il cast schiera, accanto a lei, Javier Bardem (Mare dentro), in un film ispirato all’omonimo romanzone (400 pagine) di Gabriel García Marquez, Premio Nobel nel 1982. Lo sceneggiatore è il Premio Oscar Ronald Harwood (Il pianista). Con quale stato d’animo affronta questa prova impegnativa?
«Sono spaventata soltanto dall’idea d’interpretare Fermina Daza, la protagonista colombiana d’una storia d’amore che si svolge lungo mezzo secolo, anche quando lei diventa vecchia... Ero più propensa a farmi sostituire da un’attrice realmente più anziana. Ma la produzione pensa di ricorrere agli effetti speciali, per invecchiare me e il mio partner. Verrà ingaggiato un coach per insegnarci come adottare atteggiamenti e andature senili».
Ma com’è nato il suo ingaggio hollywoodiano?
«Ho incontrato il produttore Scott Steindorff a Los Angeles, quand’ero lì per La bestia nel cuore. Ma l’ho incontrato, come centinaia di altri attori hanno fatto. Il cast si è realizzato a Londra, però, perché il regista Newell è inglese. Da qui, la mia partecipazione a Love in the Time of Cholera è diventata una possibilità ancora più concreta».
Quando le hanno detto della nomination, le son cadute le borse della spesa di mano, a Campo de’ Fiori, tanto era emozionata. Adesso, si sente più pronta a gestire l’impatto internazionale?
«Certamente sì. La cosa quasi rivoluzionaria di questa produzione è che, per la prima volta, un film tratto da un autore latino viene affidato ad attori latini. Comunque, ad europei e non a megastar americane. Quando gli americani realizzarono La casa degli spiriti di Isabel Allende, un libro che mi ha cambiato la vita, ero raggelata! Lo spirito del libro, dov’era?».
Sta girando un altro film tratto da un libro: Notturno bus, il noir di Giampiero Rigosi, che si appresta ad aggredire il box-office...
«Si tratta dell’opera prima di Davide Marengo, regista talentuoso che conosco bene. La sceneggiatura è divertente e recito accanto a Valerio Mastandrea, che stimo. Insieme, siamo una coppia così improbabile... Avevo voglia di fare qualcosa di diverso, di non drammatico.

Siamo alla terza settimana di riprese e interpreto la parte di Leila, una ladra che falsifica passaporti e che scappa proprio sull’autobus notturno di Franz, Mastandrea appunto, la cui vita sarà devastata da tale incontro. Finalmente un ruolo leggero!».

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