Daniela Fedi
da Parigi
Il lusso e l'autarchia possono convivere nel nome di quell'elegante assurdità che è l'alta moda ai nostri giorni. L'hanno dimostrato due straordinarie collezioni presentate in questi giorni a Parigi: Valentino l'altra sera all'Ecole Supérieure des Beaux-Arts e la linea Artisanal di Martin Margiela. Ieri è stata la volta anche di Chanel che ha sfilato sotto le gelide volute di vetro e acciaio del Grand Palais con una spettacolare scenografia tutta bianca che ricordava un po' le grandi glaciazioni antartiche e un po' lo scenario spaziale dei migliori film di fantascienza degli anni Sessanta. Nel pomeriggio è andato inoltre in scena l'emozionante défilé di Christian Lacroix dedicato alla tauromachia, senza contare il definitivo ingresso nel rarefatto mondo dell'haute couture di Riccardo Tisci per Givenchy. Dunque un programma di tutto rispetto che una volta di più ci permette di dire: se l'alta moda è morta, viva l'alta moda. «Mai visto niente di simile, ogni vestito raccontava una storia d'amore e di lavoro», diceva infatti Simona Ventura, in prima fila da Valentino accanto all'amico Matteo Marzotto.
Sigillata nel suo Dolce & Gabbana d'ordinanza, «Supersimo» ha subito colto la differenza con il prêt-à-porter che si limita ad abbellire la realtà, mentre la couture può permettersi di oltrepassare i confini dei sogni. La sfilata di Valentino, per esempio, era ambientata in un immaginario deserto dove fiorivano come tante rose di luccicante calcedonio le sue spettacolari creazioni per la primavera/estate 2006. Tutti i modelli avevano le sfumature pallide e illuminate dal sole che assumono le dune nei diversi momenti della giornata: dal beige dorato di prima mattina al calor bianco di mezzogiorno passando per tutte le tonalità di rosa dal cipria al mauve. I magistrali tagli creavano un effetto di leggerezza e movimento che faceva sembrare tutte le diafane modelle come colpite da un vento gentile. E in mezzo a tanta rarefatta bellezza c'erano almeno un paio di capolavori tra cui si ricorda il top di chiffon con un'incredibile lavorazione a canestro e l'abito da sera in tulle ricamato color sabbia bagnata ingabbiato in due svolazzanti vele di raso cipria. Della stessa tinta chiara e preziosa l'ensemble di calze velate e sandali con il fiocco: un artificio suggerito dal couturier per rendere indimenticabile ogni passo di donna.
Tutt'altro lavoro per la linea Artisanal di Martin Margiela, il misterioso stilista belga che ha disegnato per anni le collezioni di Hermés prima di cedere il controllo della sua maison a Renzo Rosso. Da sempre noto per la sua capacità di recuperare a nuova vita qualunque oggetto vestimentale, stavolta Margiela è riuscito a creare un pantalone da uomo con non si sa bene quante borse per le maschere antigas dell'esercito svizzero, una giacca da donna con le tomaie dei vecchi sandali di cuoio, il gilet per lui in carte da gioco lavate nel tè, resinate e poi cucite insieme oltre alla tunica da sera per lei fatta con mille fiori dell'alta moda recuperati sui mercatini. «Sono due capi al mese, artigianali di nome e di fatto», dicevano i portavoce della maison visibilmente soddisfatti per l'entusiasmo dimostrato dal pubblico davanti a certe idee semplici e geniali come lo sparato fatto con una serie di antichi colli da frac e la camicia cucita nei fazzoletti da naso.
Christian Lacroix ha invece puntato su un'ipotesi affascinante e peregrina allo stesso tempo: una magnifica damina settecentesca finita chissà come alla corrida.
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