Oggi è un eroe, figlio degli dei. Ieri era un truffatore dello Stato. Ci risiamo: lo stesso popolo di piazza Venezia e piazzale Loreto, viva e abbasso, non c’è mai una linea continua, coerente, costante. Valentino Rossi ha vinto ancora, come prima, più di prima. Cambiando la marca del veicolo il campione resta sempre lui, soltanto lui, laddove l’uomo è, finalmente, più importante della macchina. Penso che potrebbe salire su un Velosolex o un Ciao e andarsene ancora in fuga, vincente.
Il resto, oggi almeno per favore, non deve riguardarmi e riguardarci, la storia dell’evasione fiscale, il contenzioso ultramilionario con l’erario, vicende per le quali il signor Rossi, e non più Valentino, sa quello che dovrà e saprà fare. E farà. Ma l’italiano astioso è capace anche stavolta di tirare fuori la vecchia storia, l’italiano grigio e livido non vuole e non riesce a godere di questo bambino di anni trenta che da tredici sta facendo avvelenare il fegato dei suoi rivali, ex amici, ex campioni, comunque colleghi di giornata, come vecchie zitelle inacidite. E, sempre da tredici anni, sa organizzare il nostro dopo pranzo, un digestivo a trecento all’ora non è poi così male, questa è la vera happy hour. Non c’è pallone che tenga, non ci sono rigori non fischiati, prove tv, moviole, arbitri cornuti, bombe carta, invasioni di campo e devi morire, qui c’è un uomo solo al comando e basta.
È il bello del gas, Valentino va via che è un piacere, sgomma e sorpassa, come è, in fondo, il sogno di noi tutti, compresi i biliosi di cui sopra. Contate quante motociclette di colore giallo hanno preso a circolare dalle vostre parti in questi ultimi anni, collegate al Fenomeno la tinta improbabile, da cucina all’americana, in formica, dei favolosi anni ’50 e tirate di conto. È il ragazzo che ha fatto sapere a tutti dove sta Tavullia, roba piccola, asterisco sul libro di geografia, da tempo non è l’ombelico del mondo, ma quasi; è il professionista che ha accarezzato la Ferrari ma non è caduto in tentazione, maledetto, avremmo peccato ancora di più con lui al posto degli anonimi piloti brasileri e finlandesi, pensate che circo, Valentino e Luchino!; è il patacca, quando lo vuole alla grande, che celebra ogni vittoria, e sono 100 adesso, come in una scena da film-corto, tutto previsto, i personaggi, gli interpreti, la gag, la regia, manca soltanto la colonna sonora, quella l’abbiamo ascoltata in curva e sul rettilineo, al decollo della partenza, all’atterraggio dell’arrivo. È l’attore furbo di un carosello pubblicitario con Paolo Cevoli, lui vero patacca, il Palmiro Cangini assessore di Roncofritto nel cabaret Zelig, ridono e vendono in slang di piadina e di liscio.
Valentino è universale, è globale, piace alle mamme, alle figlie, ai militari, agli obiettori, alla vicina di casa con il porro sulla guancia, alla velina con il body, piace al metallaro incazzato, al melodico straziante, piace a Vasco Rossi di una Vita spericolata e a Gigi D’Alessio di Non mollare mai, piace a destra e a sinistra, mentre al centro, come al solito, devono decidere; unisce e riunisce gli italiani in un solo partito, restano all’opposizione i sepolcri imbiancati di cui sopra, non fa propaganda elettorale, non spaccia previsioni, ribadisce il concetto con quella voce e quella faccia romagnole che ricordano Gianni Morandi di fatti mandare dalla mamma a prendere il latte. Valentino ci va lui e torna con lo champagne
Oggi è stato il giorno suo, un altro. Ha fatto cento, normale, direi, per uno che da sempre è al cento per cento. In un piccolo mondo di special one lui può definirsi special one hundred, agli altri lascia davvero zero tituli ma, a differenza del suo allenatore, della sua Inter, molesta l’avversario con i fatti, non con le parole, lo stuzzica con il sorpasso impossibile, quasi incosciente, le sue sono vittorie uniche e mondiali, dovunque, cambiando la ditta il prodotto non cambia. Sembra che non vi sia sofferenza ma ludico passatempo, eppure la fatica è vera, aspra, l’azzardo è compreso nel pacchetto lavoro di chi monta su una motocicletta non per la gita con la sventola appresso ma deve spingere più forte di tutti a trecento all’ora e il rettilineo si restringe quasi come un’asola e la curva è un’ipotesi, un ostacolo o un trampolino. La telecamera a bordo gioca con le immagini, mostra la spalla e il sedere del campione, Valentino si ingobbisce, caracolla, va a destra, rimonta, oscilla ancora, scende a sinistra, ripetiamo gli stessi gesti, gli astanti guardano incuriositi, tratteniamo il respiro come sull’ottovolante, ci rimettiamo in linea, la digestione tumultuosa si fa regolare. Il luna park è finito.
Ho dimenticato un particolare: Valentino Rossi replica.