Valeri-Arbasino, l’elegante snobismo indossato da due maestri del costume

nostro inviato a Mantova
Entrambi lombardi, entrambi emigrati a Roma negli anni ’50, entrambi campioni di ironia. Alberto Arbasino e Franca Valeri. Dieci anni di differenza (classe 1920 lei, 1930 lui), i due venerati maestri sorseggiano un Aperol al caffè del Teatro sociale di Mantova. Hanno appena finito di intrattenere il pubblico parlando del bel tempo che fu. Un incontro sponsorizzato dalla Coldiretti, funambolico accostamento tra la più popolare e terragna delle associazioni e la «evve» strascicata di Arbasino, che culla il suo Ego Letterario sciorinando i nomi della società letteraria d’antan. Montale, Buzzati, Soldati, Bo, la Callas e la Wanda Osiris. E poi Antonioni, De Sica, Rossellini. Quando eravamo a Milano andavamo alla Scala o al Piccolo di Strehler. A Roma Morante, Moravia, Gadda, Guttuso e il gruppo del Mondo di Pannunzio.
Lui ricorda i compianti colleghi e lei diverte il pubblico con battute al vetriolo su animali, attori e commercialisti (il pretesto è il libro pubblicato dalla Nottetempo di Ginevra Bompiani, Animali e altri attori). Lui ripercorre luoghi e situazioni delle Piccole vacanze, appena ripubblicato da Adelphi. Due grandi raccontatori del costume che si guardano intorno fintamente spaesati, si abbandonano al borbottìo contro questa televisione, questo teatro, questa società, questo mondo letterario. Così i due si lanciano in un divertito amarcord, dove l’Italia è quella degli impresari teatrali, la tv quella dei funzionari democristiani, le vacanze quelle della borghesia che si affaccia al boom economico, che annusa frivolezze e dolcezze del dopoguerra, prima di corrompersi definitivamente e vendere l’anima a Fabrizio Corona.
Aleggiano la signorina snob, la sora Cecioni con i bigodini e la cornetta del telefono in mano per parlare a mammà. Fanno capolino il bassottino del signor Bonaventura, Sergio Tofano e il biglietto da un milione di lire. Appare la casalinga di Voghera e c’è nell’aria una gita a Chiasso. C’è la provincia italiana, il pettegolezzo frivolo, i salotti e le ville, i vizietti e le virtù, un paesaggio che si popola sempre più velocemente di zombi e rotola verso egoismo, ignoranza, paraculismo, condiscendenza, vacuità. Arbasino chiosa: «Niente nostalgia, non dico com’erano buone le ciliegie di una volta». Però lo pensa. Lei: «La signorina snob nel 2007 come si comporterebbe? Probabilmente non sarebbe venuta a Mantova». E ancora: «Non è il mio mestiere far parte della televisione di oggi». Applausi a scena aperta e qualche lacrimuccia di commozione per i più attempati.

Poi ci pensano il lambrusco e lo spumantino, le scaglie di parmigiano e le fette di salame, a consolare il pubblico. Lui e lei snobbano e si avviano al tavolino del caffè: un Aperol con ghiaccio contro il logorio dei tempi moderni.

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