Sulle prime, vedendo alla tv quei cappelli da
alpino in mezzo ai dimostranti che domenica hanno tentato l’ennesimo
assalto al cantiere della Tav Torino-Lione, non volevo credere ai miei
occhi. Possibile che ex appartenenti al più glorioso corpo militare
italiano, membri di una delle associazioni d’arma più popolari e
benemerite, si siano lasciati coinvolgere in una manifestazione contro
lo Stato gestita dai centri sociali? Possibile che ben trecento
individui che avevano servito con onore il Paese si siano mescolati ai
forsennati che da settimane si recano in Val
di Susa per fermare con la violenza un’opera giudicata necessaria dalla
maggioranza degli italiani? Purtroppo, è possibile, né la vergogna
si ferma qui.
I sedicenti capi delle penne nere scese in campo
domenica a Chiomonte non si sono limitati a manifestare: hanno
addirittura invitato i 150 militari della Brigata Taurinense inviati a
proteggere le nascenti strutture dell’Alta velocità a unirsi ai
dimostranti nella protesta, cioè in pratica a disertare. Per loro, la
presenza di un reparto di penne nere a sostegno delle forze dell’ordine
significava - secondo un ex ufficiale - «la fine dello spirito alpino»
e uno «sfregio nei confronti dei valligiani».
Altri hanno usato nei confronti dei soldati parole ancora più
pesanti, bollandoli come mercenari e sostenendo che gli alpini «devono
proteggere l’Italia e non i ladri » (le aziende impegnate nei lavori,
che secondo i No Tav più arrabbiati, sarebbero controllate dalla
mafia).
Ora, nessuno contesta agli abitanti della Valle di Susa
il diritto di manifestare contro la nuova linea ferroviaria, a patto
naturalmente che lo facciano senza commettere reati. La loro causa è
sbagliata, ma risponde a quello spirito Nimby- mai nel mio cortile - che
anima tantissimi italiani, da quelli che rifiutano la vicinanza di un
rigassificatore a chi si ribella alla costruzione
di una nuova strada. È, se vogliamo, normale che in una valle in cui
quasi tutti i maschi abili hanno fatto, magari venti o trent’anni fa,
il servizio di leva negli alpini, una parte degli ex si sia lasciata
coinvolgere da un movimento di rivolta contro il presunto sfregio del
loro territorio. Ma non è assolutamente tollerabile che partecipino a
una manifestazione di chiara matrice eversiva indossando il mitico
cappello, coinvolgendovi così, specie di fronte ai più sprovveduti
spettatori televisivi, tutta la loro gloriosa associazione.
Il presidente degli ex alpini Corrado Perona si è affrettatoa condannare l’iniziativa dei trecento e a ribadire la comprovata apoliticità della sua organizzazione. Non dubitiamo che la stragrande maggioranza di coloro che, ogni anno, sfilano dietro le bandiere italiane siano con lui. Ma i trecento non se ne sono dati per inteso, gli hanno risposto per le rime e alcuni hanno perfino annunciato le loro dimissioni dall’associazione. Insomma, abbiamo quello che non avremmo mai pensato possibile, alpini contro alpini: un ennesimo sintomo della disgregazione del Paese.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.