Valtellina, suicida col figlio per sfuggire al dolore

Deborah, 23 anni, vedova da 15 giorni, si getta nel torrente stringendo al petto il figlioletto di sei mesi. Un messaggio sul cellulare del padre prima di lanciarsi: "Perdonatemi". Il corpo del piccolo ancora non è stato recuperato

Valtellina, suicida col figlio 
per sfuggire al dolore

Grailè (Sondrio) - Non è giusto parlare di cronaca nera. Suona blasfemo. La storia di Deborah merita i toni lievi del grande amore, assoluto e disperato. Ciò che tutti ormai conosciamo, a forza di sentircelo ripetere dai telegiornali, è solo il raggelante epilogo: in una sera d'agosto, vinta dagli spettri del dolore, la giovane mamma si stringe al petto il suo piccolo e si lancia nel vuoto, tra i dirupi dello Stelvio, cercando con questo volo di raggiungere al più presto il suo amato, che da due settimane vaga nei cieli della valle chiamandola nel sonno.

Questo sappiamo tutti, questo più precisamente riportano i verbali dei carabinieri: Deborah Cossi, commessa di 23 anni, muore suicida col figlio di sei mesi, Daniel, quindici giorni dopo che il compagno di vita, Andrea Valzer, 35 anni, era morto in un incidente stradale. Classico materiale di cronaca nera, né più né meno di tanti altri, in questa estate infuocata e sanguinaria. Ma è quello che c'è dietro, quello che c'è prima, a richiedere un altro sguardo e un'altra comprensione: quanto meno, il rispetto e la pietà che si devono ai sentimenti migliori, anche quando finiscono male.

L'altra sera, intorno alle otto e mezzo: Bruno Cossi, un nonno giovane che lavora negli scavi delle gallerie in giro per l'Italia, riceve nella sua casa di Grailè, frazione tra i pascoli appena oltre Sondalo, un messaggio telefonico della figlia Deborah. Lei abita al piano di sopra, nella villetta-chalet di famiglia: il papà l'ha vista uscire un'ora prima con il piccolo Daniel, il nipotino adorato, appena sei mesi e da due settimane già orfano. Quello che il signor Bruno legge sullo schermo del telefonino ha il tono lancinante di un annuncio definitivo: «Papà, non ce la faccio più. Chiedo perdono».

Ci vuole poco ad immaginare la scossa elettrica che arresta il cuore dell'uomo. Bruno ne parla con la moglie Lucia, cercando sul momento di mascherare la cosa agli altri due figli, i fratelli di Deborah, il ventenne Michael, muratore, e la tredicenne Stephanie, che va ancora a scuola.

Comunque i due genitori non perdono tempo. Avvertono subito i carabinieri. Sanno che non c'è un minuto da perdere, perché purtroppo sanno bene in quali condizioni viva da due settimane la loro primogenita: chiusa, muta, vuota. Senza una lacrima, senza una piega in volto, senza una parola di rabbia. Compressa, direbbe il neologismo dell'ultima epoca.

Racconta adesso Michela, amica e vicina di casa: «Ne parlavo con mamma Lucia. Le dicevo che Deborah non mi piaceva. Guarda che non butta fuori, state attenti. Lei cercava di rassicurarsi: è forte, diceva, vedrai che col tempo ce la farà. Quando l'altra sera ci hanno avvertiti che era sparita con Daniel, ho subito capito. Ho sperato, ho pregato come loro che fosse andata a fare la spesa, ma purtroppo sapevo già la fine. Me lo sentivo. Da quando Andrea se n'è andato, Deborah è morta dentro. Era troppo felice, il suo mondo è andato in frantumi in quel maledetto incidente stradale...».

Inutile sprecare parole per l'altra cronaca nera delle ricerche. Il piccolino, povera creatura, risulta ancora disperso (patetiche risuonano le parole pronunciate in mattinata dal giovane zio: «Speriamo di trovarlo ancora vivo»). Quello che davvero merita l'attenzione di tutti quanti è il peso insostenibile che Deborah si porta tra gli anfratti dell'alta Valtellina. Due settimane da vedova, due settimane soltanto le bastano per capire che non è vita per lei. Troppo fragile, troppo vulnerabile, troppo instabile? Beato chi può permettersi simili giudizi. Per fortuna di Deborah, i giudizi veri e sostanziali, quelli che davvero contano, sono ora nelle mani della giustizia buona e assoluta. Per quanto riguarda noi uomini, dovrebbe bastarci comprenderla, questa povera Deborah. Niente di straordinariamente epico e romantico, il suo quadro personale. Ma per lei, unico e irripetibile. Con Andrea si conoscono un paio d'anni fa sul posto di lavoro, nel supermercato «Dimeglio», a Bormio. Lei commessa, lui factotum. Per mettersi insieme, non esitano a percorrere una strada lastricata di ostacoli. Lei, alta e carina, è reduce da una convivenza con il fidanzato Stefano. Lui è sposato e ha tre bambini, un maschio e due femmine. Ci vuole molto cuore, ma anche molto fegato, per mandare tutto all'aria. Ma ad un certo punto decidono insieme che questa è davvero l'unica cosa da fare, per il bene di tutti. Andrea lascia la casa di Cepina e viene a vivere nell'appartamento di Deborah, la mansarda sopra i genitori, qui a Grailè. I nonni, ancora giovani, poco più che quarantenni, accolgono la novità senza interferire. Anche perché notano subito, come lo notano gli amici e i vicini di casa, che Deborah è realmente - né più, né meno - una donna felice. Carattere introverso e riservato, la vedono aprirsi e sorridere. Come una seconda fioritura. Andrea è un ragazzo per bene, educato e preciso. La domenica porta a casa i suoi tre bambini, e Deborah li accoglie come fossero figli suoi. Poi, a fine gennaio, il lietissimo evento: nasce Daniel, il diamante che irradia nuovi bagliori sulla storia di Deborah e Andrea, padroni e sovrani di un nuovo futuro.

C'è veramente tutto, in questa storia, per godere armonia. C'è persino una moto. Andrea ha una Yamaha di qualche anno fa, uno di quei modelli che vengono conservati come oggetti di culto. Spesso, la domenica, si carica Deborah e vanno a godersi gli schiaffi del vento, su per i tornanti di Livigno e dello Stelvio, mentre Daniel gioca in casa con i nonni e i giovanissimi zii. Ma è su questa stessa moto, tornando dal lavoro nel supermercato di Bormio, dove ha conosciuto la ragazza più bella e più dolce di tutte, che il 25 luglio Andrea va incontro alla fine, centrato da una macchina. Specificano in zona: non per colpa sua. Come se cambiasse qualcosa.

Ricorda ancora Michela, l'amica: «Quella sera, quando l'avvertirono, Deborah prese la macchina e andò all'ospedale. Non un lacrima, non un urlo. E al funerale, uguale. Poi aveva ripreso a fare la stessa vita: lavoro, spese, il bambino in braccio. Ma sempre sola, rinchiusa nei suoi pensieri e nel suo rimpianto. Abbiamo cercato di parlarle, ma si capiva che non sarebbe servito a molto. Sentivo che sarebbe finita così...».

È metà pomeriggio. Deborah torna a casa dentro un carro funebre. Gli addetti, fuori dalla semplice villetta ai margini del pascolo, appendono l'annuncio: «A pochi giorni dalla scomparsa del compagno e papà Andrea, sono tragicamente mancati Deborah Cossi e Daniel Valzer. I funerali si svolgeranno giovedì, alle 15,30, nella parrocchiale di Frontale...». Eccetera, eccetera, eccetera. Comincia a piovere.

Piove sullo Stelvio e sul dolore degli uomini. Torna a splendere la luce, oltre lo Stelvio e oltre il dolore degli uomini, là dove Deborah e il piccolo Daniel hanno ritrovato Andrea. Finalmente avvolti in una felicità che nessun incidente violerà mai.

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