nostro inviato a Baden
Donadoni si fida di Van Basten, Abete non si fida degli arbitri, e ancor meno dell’Uefa e di Platini. Dentro l’Italia a un passo dalla caduta rovinosa, convivono queste due anime. Roberto Donadoni è persona sincera e trasparente. «I discorsi sulle altrui virtù non servono a niente», detta convinto. Forse come Ct desta più di una perplessità, ma sui principi merita una lode. Per andare al sodo, sul conto di Marco Van Basten, suo sodale, scolpisce il seguente giudizio: «Io lo conosco bene, è persona onesta, corretta e competente: sono tre garanzie». E nella foga dell’intervento si lascia sfuggire anche un «ho parlato con Van Basten, non esistono graduatorie in una rosa di 23 elementi portati all’europeo» che autorizza la domanda successiva e le spiegazioni richieste. «Quando ha parlato con Marco?». Lui corregge al volo: «Sei mesi fa». Per evitare un gran polverone, inutile.
Donadoni è fatto così, privo di qualsiasi malizia. «Mi avete chiesto giorni fa del colloquio con il presidente Berlusconi e poi ho capito perché. Pensavate che mi avesse dettato la formazione. Ma ora che ho fatto giocare i tre della Roma pensate per caso che mi abbia telefonato Rosella Sensi?», domanda. Ed è come lanciare un macigno nello stagno perché prendono tutti cappello. «Calma, calma, cosa avete preso, il peperoncino?» chiosa il Ct. Perciò Donadoni, con un piede sulla scaletta dell’aereo, si fida di Marco Van Basten e dell’Olanda. Senza sindacare sulle scelte del collega, amico dei giorni felici a Milanello. «All’Italia del 2000 capitò di giocare la terza partita, da qualificata, contro la Svezia cambiando mezza squadra: vinse egualmente» il precedente esibito per non inseguire discussioni da bar dello sport imbastite su quale formazione debba presentare la nazionale orange. «Magari il portiere titolare che para tutto» detta Abete, il presidente. Pensate un po’ da quali pulpiti arrivano le prediche rivolte a sportivi, gli olandesi nella fattispecie, che non conoscono calcoli (converrebbe loro spedire fuori, in un colpo solo, i campioni del mondo e i loro vice).
Perciò l’Uefa a un certo punto interviene con una nota pubblica nella quale autorizza l’Olanda a comportarsi secondo il proprio interesse. «Non esiste la squadra riserve in un europeo» fanno sapere dalla stanza dei bottoni. Donadoni si fida di Van Basten, Giancarlo Abete, presidente della federcalcio, molto meno, ma degli arbitri che rischiano di lasciarlo a piedi, e ancor meno di Platini e del suo staff. Niente proteste ufficiali, niente lettere tipo Cobolli Gigli per intendersi («lo faremo a fine torneo» la promessa che non è più una minaccia), ma solo un colloquio informale con un dirigente vicino al presidente Michel Platini, che arriverà martedì prossimo a Zurigo, cui l’Uefa stessa, ancora una volta, seccata e preoccupata della ricaduta delle polemiche sui fischietti, replica con la risposta di una fonte che definisce «irregolare il gol di Toni per la posizione di Del Piero». È il secondo intervento a piedi uniti nei confronti del club Italia rimasto senza parole. A questo punto fanno rumore solo le proteste in pubblico, in piena tribuna d’onore, di Abete ascoltate venerdì sera da Blatter, il presidente della Fifa seduto al suo fianco, e dal presidente della commissione arbitri, lo spagnolo Villar. Anche questo, pensa Abete, è un pericoloso conflitto d’interessi: un presidente di federazione che controlla gli arbitri. Accadde ai tempi di Artemio Franchi e ne avemmo giovamento, meglio non dimenticarlo.
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