Vanno in soffitta i gadget di An e Fi «Ma è un passaggio quasi indolore»

RomaCome tutti gli impasti delle torte ci si mette un po’ ad amalgamare bene gli ingredienti. Questione di pazienza: colpo di frusta o lavoro di mestolo, alla fine il composto deve per forza risultare compatto, denso, coeso. Certo, qualche grumo fa fatica a sparire ma sono quisquilie.
Le proporzioni dei due ingredienti già decise da tempo, 70 per cento Forza Italia e 30 An, il «dolce» del Popolo della libertà prende forma: in fondo che i due sapori stessero bene assieme l’hanno già deciso gli elettori. Ma come sta andando, di fatto, la fusione? Che succede al centro e in periferia? Cosa accade al vertice e alla base? Fabio Rampelli, onorevole di An, pardon Pdl, assicura: «È un processo maturato nel corso del tempo, è un atto dovuto, naturale». E non lo scalfisci neppure ricordando che lui, al congresso di addio di An, ha detto testuale «Non rimproverateci se proviamo nostalgia». Spiega che «era un messaggio rivolto alla platea, immaginando che lì in sala molti avessero questo nobile sentimento». Eppure lui è uno di quelli venuti su a pane e sezione di partito. E che sezione: quella di Colle Oppio, la più antica, aperta nel 1946, roba missina, stanze dove anni fa facevano capolino busti della «buonanima» e stendardi con la fiamma. Ebbene lì che c’è ora? «Accanto alle bandiere di Alleanza nazionale compariranno quelle nuove del Pdl. Nell’altra sede storica dell’Appio Latino la vecchia insegna è sparita perfino prima del congresso del week end scorso». Davvero nessuno sguardo rivolto al passato: «È perfetta la metafora del mare: il marinaio, quando lascia un porto, lascia sempre sul molo anche qualche affetto. Ma il marinaio vero sta bene tra le onde e non ha paura degli oceani, anzi». Nessun cedimento neppure stuzzicandolo col sociologico: forse i più giovani, attratti dall’ideologia, dalla militanza, dalla vita di sezione... In fondo An è così: struttura, circoli, tessere e ramificazioni nella scuola, nell’università, persino nel sindacato. «No, anzi. I giovani sono molto consapevoli che la fusione è in atto perché di fatto c’è già. Azione giovani entra convinta nel Popolo della libertà».
E laggiù, in periferia, sta andando alla stessa maniera, assicura un altro aennino, pardon pidiellino. Salvo Pogliese, vicecapogruppo all’assemblea regionale di Sicilia ed ex segretario di Azione giovani, 37 anni di cui gli ultimi 23 passati sul fronte della politica, giura: «I partiti sono soltanto uno strumento, il percorso lo hanno segnato gli elettori». Certifica che non fa male mettere nel cassetto l’ormai vecchia bandiera di An: «Questo passaggio è quasi indolore, mi creda. A Fiuggi s’è sofferto molto di più». Gli stendardi aennini, nei quindici circoli di Catania città, resteranno lì per un po’, accostati a quelli nuovi di pacca ma poi spariranno. Piano piano.
Viale Monza: nella sede di Milano di Forza Italia, pardon del Popolo della libertà, accanto ai drappi con il «Berlusconi presidente» già sbatacchia al vento quello vergine bianco e azzurro. E di tutto il vecchio gadgettame che si fa? Chiediamo alla base che più base non si può: Antonio Testori, consigliere zona uno di Milano di Forza Italia, pardon Popolo della libertà, ammette: «Ne abbiamo parlato, certo. Mica possiamo buttare al macero tutta ’sta roba.

Alle prossime iniziative in piazza o le regaliamo o le vendiamo al prezzo simbolico di un euro. Decideremo». Grumi anche lì, nel piede profondo della piramide? «Poca roba anche se, per esempio, ci chiediamo se dobbiamo unire i nostri gruppi oppure no. Che senso ha essere ancora divisi?».

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