Politica

Varallo sfratta gli immigrati ma così non aiuta gli italiani

C’è qualcosa di ragionevole, ma anche qualcosa di inaccettabile, nelle decisioni del sindaco di Varallo (Gianluca Buonanno della Lega Nord), che l’altro giorno ha annunciato misure drastiche per porre un argine dinanzi all’arrivo di extracomunitari nel suo comune.
Appare comprensibile la scelta di bloccare le spese sociali, dato che oggi gli immigrati rappresentano il 5% della popolazione del centro vercellese e assorbono il 50% delle uscite per esenzioni mensa, ticket agli indigenti, trasporti scolastici. Non è invece egualmente legittima la volontà di bloccare l’accesso di nuovi immigrati, contingentando le residenze. In questo caso, infatti, il sindaco danneggia i titolari di case da affittare. Tale decisione mina l’istituto stesso della proprietà privata, poiché intralcia chi, possedendo un appartamento, volesse locarlo a un senegalese o a uno svizzero.
Quando circa vent’anni fa ha compiuto i suoi primi passi, la Lega ha manifestato evidenti istinti antistatalisti, intercettando una sensibilità largamente diffusa nel Nord. Essa ha giocato non solo come un movimento a vocazione secessionista, ma anche quale espressione di un’ampia volontà di rivolta fiscale. Le parole d’ordine rinviavano a un progetto basato su meno tasse e più proprietà, su meno Stato e più mercato.
Nel momento in cui la Lega intende però impedire ai proprietari di affittare a chi lo desiderano i loro beni, la logica politica ispiratrice diventa un’altra. Qui ci si preoccupa soprattutto di dare soddisfazione a sentimenti xenofobi diffusi nei ceti popolari, che in parte sono comprensibili (dato che l’immigrazione è spesso accompagnata da criminalità), ma che - specie se si vuole crescere elettoralmente - andrebbero gestiti in tutt’altro modo.
La stessa questione della spesa pubblica a fini sociali non può essere impostata così. L’avversione verso lo Stato sociale non dovrebbe scattare solo quando i servizi sono a beneficio degli stranieri, ma dovrebbe riguardare la cosa in sé. L’Italia non potrà mai tornare a creare ricchezza se perfino nel profondo Nord ci si preoccupa di tenere in vita politiche assistenziali e distribuire cene. Dato che, come ebbe a rilevare Milton Friedman con una sua lapidaria battuta, di pranzi gratuiti non ce ne sono proprio: e se qualcuno mangia e non paga, questo significa che qualcun altro paga e non mangia.
Da sempre la Lega ha l’indubbio merito di interpretare quelle pulsioni popolari che la classe dirigente del Paese, troppo chiusa nei suoi circoli della caccia e nelle sue cene rotariane, non ha mai saputo intendere. Se ora avverte (a ragione) che il flusso dell’immigrazione è eccessivo, s’impegni a smantellare lo Stato sociale, che attira persone troppo spesso desiderose di vivere in maniera parassitaria.
In questo modo essa svolgerebbe una funzione liberale, coniugando la richiesta di autogoverno del Nord e l’aspirazione di quei milioni di partite Iva che non intendono più finanziare i comodi per gli altri: siano essi congolesi, siciliani o piemontesi. Anche perché non ci può essere alcuna società autenticamente solidale e alcuna crescita duratura dove la tassazione è intorno al 50% e la proprietà privata non gode di rispetto.
Non è ammissibile, allora, che si trattino in questa maniera i proprietari, e tanto più che la decisione di Varallo giunge al termine di iniziative analoghe: si pensi alla legge della Regione Lombardia contro i locali che vendono kebab o a quella, condotta a Brescia, per riservare il «buono bebè» alle sole coppie italiane.
Lungo questa strada c’è il rischio, e sarebbe davvero un paradosso, di dirigersi verso un apartheid alla rovescia: con una società largamente statizzata e assistita per gli italiani, e ampiamente de-statizzata e liberale per gli immigrati, che già ora non possono avere accesso ai posti pubblici e quindi - quando non delinquono - lavorano come dipendenti nel settore privato oppure da liberi imprenditori.

Se dovesse andare a finire così, datemi un passaporto del Marocco o della Costa d’Avorio.

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