Milano - Eccolo qui, finalmente. Quando un artista canta che «adesso che sono arrivato fin qui grazie ai miei sogni/che cosa me ne faccio della realtà» allora vuol dire che le sue canzoni sono nuove per davvero, sono il frutto di un cambiamento, di una revisione. Sono il frutto di una rinascita, bravo Vasco. Preceduto da un singolo omonimo non esaltante, esce Il mondo che vorrei, un album che gli italiani da quattro anni aspettano come fosse il sole perché in tre decenni di carriera (li compie proprio nel 2008) Vasco illumina quei lati di una generazione che si è riconosciuta nelle sue parole e ancora adesso parla con le sue parole. Dopo il tempo dell’incoscienza, che ne ha fatto un mito, e quello della consapevolezza, che lo ha trasformato in un guru, Vasco Rossi torna alle illusioni, ai sogni che esistono perché la realtà fa schifo, è colpevole di tutto e specialmente di creare il disincanto, il cinico distacco che è la morte dell’arte, oltre che della vita. E proprio per staccarsi da questa tagliola, Vasco Rossi pesta sull’acceleratore delle fantasie ironiche come in Gioca con me dove uno strepitoso assolo di Slash, ex chitarrista dei Guns N’Roses si accompagna a parole che diventeranno slogan («Come riempi bene quei jeans/Cammini come una dei films»). Oppure riassume in due versi («Adesso che non c’è più Topo Gigio/Che cosa me ne frega della Svizzera») quant’è difficile pensare che E adesso che tocca a me, tocca a un uomo di 56 anni appena compiuti che, dopo l’avanti e indietro di una vita che lui stesso definisce da «sopravvissuto in tutti i sensi», si trova davanti un imperativo esistenziale e categorico. Perciò chiede, anzi implora Dimmelo te perché lui non sa difendersi, «Io non riesco neanche più/a capire che cos’ho/E se non viene un angelo/e se non nasce un rock n’n’roll»... Nato in oltre due anni di riflessioni, lavoro e isolamento tra Bologna e Los Angeles, perso tra imperiosi riff di chitarra (Cosa importa a me e Qui si fa la storia) e omaggi all’amore (Colpa del whisky), questo cd è uno dei più emozionanti del nuovo Vasco, pienamente consapevole, tanto bravo da scendere a patti con la realtà e farla sua e domarla con la forza e a forza di sogni. E così il libretto del cd diventa una bibbia esistenziale, un piccolo manuale che Vasco Rossi ha voluto stringato all’osso, in una ricerca che finalmente è giunta all’essenzialità minimalista, capace di raccogliere tutto in un solo verso molto più di quanto sia mai stato in grado di fare. «Dimenticare non è facile/Ma perdonare è più difficile» (da Cosa importa a me). E allora è ovvio che da domani tutti i suoi fans (a milioni, ce ne accorgeremo un’altra volta ai concerti di questa estate, tra tutti l’Heineken Jammin’ Festival di Venezia sabato 21 giugno), sfoglieranno i fogli del libretto, trovando ciascuno una parte di sé individuata, illuminata, raccontata dall’unico artista italiano che riesce ad essere transgenerazionale, a mettersi in contatto con una fascia enorme di pubblico che dai quindici arriva ai sessant’anni, parla lingue diverse eppure si capisce utilizzando solo il codice Vasco. Insomma, Il Mondo che vorrei è quello che ha costruito lui magari senza accorgersene, vivendo e vivendo in questi trent’anni fianco a fianco con la sua gente pur rimanendone lontano, dettando principi e ricevendone in un flusso così continuo che nessun altro cantante italiano è in grado di avere. Vasco è un ragazzino di 56 anni che ha già vissuto due volte e ogni volta ha cambiato paure, incertezze, disillusioni. Stavolta all’inevitabile cinismo affianca un bisogno estremo, fortissimo, quasi infantile di sognare, di immaginarsi il mondo che vorrebbe e chissenefrega se tutti sanno che non potrebbe mai esserci.
In questo Vasco è un’àncora di salvataggio che fa passare in secondo piano anche gli strepitosi musicisti che lo accompagnano, dal chitarrista Mike Landau al batterista Vinnie Colaiuta a Rafa Moreiro a Tony Franklin e che trasformano un disco di dodici canzoni in un universo da leggere ma pure da ascoltare a più riprese per esaltare di volta in volta, chessò, il basso profondo di Non vivo senza te oppure il giro di chitarra quasi punk di Non sopporto, un brano pronto a diventare un inno dei fans vecchio stampo, attratti dall’ironia graffiante di un Vasco che dice «Non sopporto quelli come te che si fidano di quelli come me» e poi ci scherza su dicendo giuro che se mi offri anche da bere dico che sto bene come sto». In realtà gioca, Vasco. Lui non sta bene così. E sogna, questa è la sua medicina. E a 56 anni trovatene un altro così, se siete capaci.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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