Vashist, economista-edicolante indiano

«L’editoria tira meno? Io vendo anche magliette, borse, souvenir e mi sono specializzato in stampa etnica»

Quando Vashist Gopal ha saputo che nel 2005 a Milano sono state chiuse dodici edicole e venticinque rivendite di giornali, lui che il suo chiosco lo ha aperto da cinque mesi soltanto, non ha fatto un plissé. Nonostante i ricavi in calo, lo spazio inadeguato per esporre le oltre 2.500 pubblicazioni, la mancanza di incentivi per cambiare le vecchie edicole e la concorrenza della free-press, ha deciso di non darsi per vinto. Figurarsi proprio adesso che dopo anni di fatica è riuscito a comperarsi finalmente il suo bel chiosco in una posizione strategica di Milano, in via Orefici, incastonato fra le rotaie e un intenso viavai; un’edicola storica che ne ha viste di cotte e di crude, aperta da Augusta Farvo durante il fascismo, la giornalaia pasionaria punto di riferimento per gli anarchici milanesi. (Pietro Valpreda la considerava una mamma, ma la vicenda meriterebbe una storia a parte). Crisi o non crisi insomma, Vashist non demorde. E visto che nelle edicole si può vendere di tutto tranne animali, esseri umani, cibi e affini, si è attivato per cambiare look al suo esercizio in barba ai tempi tapini: «Si comperano meno giornali? E io vendo magliette, borse, souvenir e mi specializzo nella stampa etnica. Questa zona è piena di stranieri. Vanno a ruba i romanzi d’amore filippini, i giornali indiani e ora punto su quelli albanesi».
Del resto la mutazione genetica dell’edicola è cosa nota: da tempo la categoria si avvale di «supporti», che gli editori chiamano add-on, in sintesi dei «cotillon salvabilanci» in un Paese che si ostina a mantenere il primato di lettori ultra-fiacchi. (Ma anche questa è un’altra storia).
Nato ad Ambala nel 1959, Vashist è arrivato in Italia quando aveva 29 anni. «A quei tempi non c’erano tanti immigrati - racconta -. Tutto era facile. In India mi ero laureato in Economia all’Università di Agra (città del mitico Taj Mahal, ndr), dove ho insegnato per alcuni anni. Non avevo intenzione di trasferirmi, ma poi ho vinto una borsa di studio alla Scuola superiore Enrico Mattei dell’Eni e i miei mi hanno convinto a partire». Ed è così che l’ex ragazzo che parla tre lingue compreso il tagalog (filippino) si è messo fin da subito in regola, si è diplomato in Economia aziendale, per sette anni ha insegnato la sua lingua (indi) all’Ismeo, ha gestito un negozio di alimentari e infine si è comperato l’edicola: nessun padrone e la libertà di gestire il proprio tempo, anche se questo significa lavorare duro, sole, neve o pioggia, sette giorni su sette, dalle 4 di mattina alle 21: «È una faticaccia - ammette - infatti sto cercando un socio. Non c’è da stupirsi che i giornalai immigrati siano in aumento. Sono più disposti a fare sacrifici».
Vashist ha un permesso di soggiorno permanente ed è sposato con Nebha, un matrimonio combinato da cui è nato un figlio, Rishab, che oggi ha dieci anni e vive con la madre in India: una famigliola dell’era globale che s’incontra un paio di volte all’anno, anche se lui conta di tornare nel suo Paese.

Non ama la politica anche se gli piacerebbe votare e dire la sua che non ci dice. Quando non lavora incontra i suoi amici indiani, non più di cinquecento a Milano: «Ci confondete sempre con i pakistani, srilankesi o gente del Bangladesh - dice - ma qui noi siamo in pochi. E ce la caviamo benissimo».

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