I toni sono quasi apocalittici. Degni di un intrigo in Vaticano. «Non siamo in balia di forze oscure», fanno sapere dalla cittadella sotto accusa. Parole dure, durissime, definitive quelle che arrivano dal più piccolo Stato del mondo. Parole che sconfessano quanto detto, anche con una lettera inviata a Papa Ratzinger, da monsignor Carlo Maria Viganò, l’ex segretario generale del Governatorato rimosso e promosso nunzio a Washington dopo aver puntato il dito contro i torbidi e le corruzioni dei Sacri palazzi.
Il vescovo Viganò aveva attaccato fra gli altri monsignor Paolo Nicolini, delegato per i settori amministrativo-gestionali dei Musei Vaticani, parlando di «contraffazioni di fatture, ammanchi e partecipazione di interessi» in società inadempienti verso il Governatorato «per almeno due milioni e duecentomila euro». Insomma, la denuncia senza precedenti aveva provocato un vespaio, scoperchiando una presunta Tangentopoli sotto il Cupolone. Di più: la clamorosa esposizione di monsignor Viganò, autore due lettere esplosive indirizzate a Benedetto XVI e al segretario di Stato Tarcisio Bertone, era rimbalzata in tv attraverso il programma di Gianluigi Nuzzi Gli intoccabili.
Ora però dal Vaticano arriva una smentita senza se e senza ma. Quel che colpisce è la durezza della nota e il carico di firme che la rende autorevole, come fondamenta solide. «Dopo attento esame del contenuto delle due missive - si legge nel testo - la presidenza del Governatorato ritiene suo dovere dichiarare pubblicamente che tali asserzioni sono il frutto di valutazioni erronee, si basano su timori non suffragati da prove, anzi apertamente contraddetti dalle principali personalità invocate come testimoni». Il Vaticano liquida dunque le requisitorie di Viganò che negli ultimi giorni hanno alimentato inquietanti retropensieri sulle lotte fra la luce e le tenebre. Il Viganò pensiero è stato preso sul serio e analizzato con un’inchiesta interna. Lo stesso Governatorato ammette che gli affilati giudizi del vescovo non possono non far pensare che questa delicatissima struttura «sia un’entità inaffidabile, in balia di forze oscure».
Non è vero niente, si difendono ora a Roma. Viganò aveva accreditato la tesi che la sua rimozione fosse stata organizzata come un complotto, per far tacere la sua voce, solitaria e scomoda. Ma in Vaticano non ci stanno. Viganò - su questo non c’è dubbio - è stato un manager attento, abile, ha tagliato i costi, ma la sua azione di risanamento non basta a farlo passare per una vittima di trame oblique.
A chiarirlo è il vertice di questo settore strategico del Vaticano: il presidente emerito, cardinal Giovanni Lajolo, quello attuale Giuseppe Bertello, il segretario generale Giuseppe Sciacca, l’ex vice segretario generale Giorgio Corbellini. Un quartetto di altissimo livello che rappresenta la storia del «ministero». Un poker di voci che parlano come una voce sola, sottolineando «sicuri elementi di giudizio», pur senza «entrare nel merito delle singole affermazioni».
Ai quattro basta ridimensionare i meriti di Viganò nel riportare i bilanci in attivo.
In particolare «il passaggio dal risultato negativo per euro 7 milioni 815mila del bilancio consuntivo 2009 al risultato positivo finale per euro 21 milioni e 43mila del 2010 fu dovuto principalmente a due fattori: la gestione degli investimenti finanziari del Governatorato e in misura ancora maggiore gli eccellenti risultati dei Musei Vaticani». L’intrigo potrebbe pure finire qua. E il futuro del nunzio, di cui il Giornale ha documentato un’altrettanto tenebrosa e sconcertante faida familiare, appare sempre più in bilico.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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