Non date etichette al nuovo Papa

L'elezione del Papa si sta quasi trasformando in quella di un leader di partito. Il Conclave ridotto a congresso

Non date etichette al nuovo Papa
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In questa gara a etichettare il prossimo Papa, a seconda dello schieramento progressista o conservatore, invadendo il campo religioso con le categorie della politica, si rischia di fare un danno non piccolo alla Chiesa. Un rischio magari sottovalutato da chi preso da questa corsa parossistica, da questa sfida tra le componenti del mondo cattolico, non si rende conto come questo meccanismo finisca per ridurre l'universalità del messaggio del Papa.

In fondo è già successo nelle polemiche che hanno accompagnato i pontificati di Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco: i primi due contestati dall'area progressista della Chiesa; il secondo da quella conservatrice o tradizionalista.

Solo che il fenomeno in questo Conclave, invece, di ricomporsi sembra addirittura ampliarsi. L'elezione del Papa si sta quasi trasformando in quella di un leader di partito. Il Conclave ridotto a congresso. I veleni si sono moltiplicati a cominciare dai dossier di parte contro i papabili, come pure gli interventi della politica in favore di questo o quel candidato al soglio di Pietro (non solo in

Italia, ma anche da Parigi o, addirittura, da Washington arrivano pressioni). E in questa visione del papato sempre più contaminato dalla politica siamo arrivati al punto che Donald Trump appaia sui social della White House con l'abito bianco pontificio senza menar scandalo.

Capisco che nelle situazioni in cui la religione si confonde con la politica e nelle teocrazie il distinguo si riduca al minimo: gli ayatollah iraniani governano per cui il confine è labile; o ancora nessuno si meraviglia in Russia se il Patriarca Kirill a volte appaia come un burattino nelle mani di Putin. Ma nella Chiesa Cattolica la religiosità è molto, anzi dovrebbe essere tutto, e secolarizzare troppo la Chiesa, averne un'accezione troppo profana, troppo politica può depotenziarne il messaggio. Ad esempio, immaginate se fosse utilizzato oggi il dogma dell'infallibilità del Papa, quello che usò Pio IX per l'immacolata concezione e Pio XII per l'assunzione di Maria, la Chiesa come l'accoglierebbe a seconda se il Pontefice avesse l'etichetta di progressista o di conservatore?

Di esempi se ne potrebbero fare tanti. Il punto è che c'è un limite nelle critiche che si possono fare all'operato dei Pontefici, il cardinale Müller non

può dire che con Francesco si chiude un'era della Chiesa perché bisogna tornare all'ortodossia quasi trasformando il suo insegnamento in un'eresia. Né sull'altro versante ha un senso che il cardinale Zuppi faccia gli auguri per la festa di Liberazione alla vigilia delle esequie del Papa, parole che finiscono involontariamente per assumere una valenza politica. Il problema non è tanto chi vince tra l'ipotetico erede di Pietro progressista e quello conservatore, ma che alla fine la sua immagine coniugata con un colore finisca per indebolire la sua capacità di parlare a tutti, di essere il pastore dell'intero gregge.

È purtroppo il limite che si corre nel trasformare il Conclave, cioè la scelta di un pontefice nel chiuso e nel silenzio della Cappella Sistina ascoltando solo lo Spirito Santo, in un evento mediatico. A quel punto il meme, per colpa di tutti e di nessuno, finisce fatalmente per sostituire l'odore dell'incenso.

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