Il drammatico video «alla irachena» di un commerciante ebreo israeliano a Ramallah, sede del governo palestinese, pone unaltra seria domanda sia ad Abu Mazen che ai servizi di sicurezza israeliani. E cioè se anche lautorità di Hamas non si stia dividendo territorialmente e intenzionalmente con un comando a Gaza (che dice di voler far cessare i lanci di razzi contro Israele, secondo lingiunzione dellAutorità palestinese) e un secondo comando di Hamas e delle altre organizzazioni terroristiche in Cisgiordania con piena libertà di azione.
In Cisgiordania loccupazione israeliana permane e Ariel Sharon si trova - come a Gaza prima dello sgombero dei coloni - con le mani legate dalla Convenzione di Ginevra nelle risposte agli attacchi che Hamas presenta allopinione pubblica araba e internazionale come «legittima resistenza» alloccupazione. In altre parole, il pericolo di vedere aperta in Cisgiordania quella trappola politica che il premier israeliano sperava di chiudere a Gaza con il ritiro dei coloni. Se così fosse, resterebbe valida la strategia delle organizzazioni armate islamiche, il cui obiettivo è di impedire negoziati di pace con Israele. Ed è paradossalmente su questo tipo di violenza palestinese che gli avversari di Sharon, dentro e fuori del Likud, puntano per sfiduciarlo di fronte allelettorato e vendicarsi del suo «tradimento» al sogno del Grande Israele.
Un tentativo fallito per poco lunedì sera, a Tel Aviv, al comitato centrale del Likud, dove Sharon ha ottenuto una risicata maggioranza dell1 per cento nella votazione chiesta dal suo grande rivale Benjamin Netanyahu per anticipare le primarie del partito, previste per la prossima primavera. Un voto favorevole, quello dellaltro ieri, scaturito dalleccesso di fiducia e dallarroganza dellopposizione guidata da Netanyahu (ex premier ed ex ministro delle Finanze di Sharon),il quale ha abbandonato con i propri sostenitori, in maniera dimostrativa, la sala quando il premier si accingeva a parlare. In tal modo voleva dimostrargli il suo disprezzo (ora lo definisce «tiranno»).
Netanyahu, inoltre, non ha compreso che consentire che fossero manomessi i microfoni per impedire al premier di parlare sarebbe stato controproducente. Egli ha costituito allultimo momento una misera maggioranza di delegati che, pur contrari alla politica di Sharon, non se lè sentita di affidare il partito agli estremisti. Il vecchio generale ha vinto così una battaglia, ma non la guerra che dovrà affrontare su tre livelli: elettorale, personale e palestinese.
Elettoralmente il primo ministro dovrà sfidare una volta di più Netanyahu, alle primarie di aprile, per stabilire la leadership del partito alle elezioni legislative nellautunno 2006. Se fosse messo in minoranza, non è da escludere che formi un suo partito. Sul piano personale dovrà scampare ad attentati di esaltati che, nelle frange religiose della destra, hanno giurato di riservargli la fine di Rabin. Senza contare il pericolo che terroristi ebrei lo coinvolgano in crisi politiche attaccando qualche luogo santo dellIslam, il che accenderebbe imprevedibili reazioni.
Per Sharon sarà difficile condurre negoziati con lAutorità palestinese. La collaborazione con essa è indispensabile per migliorare le condizioni di vita della popolazione araba a Gaza e in Cisgiordania: si tratta del principale mezzo per rilanciare la fiducia reciproca e diminuire una disperazione, specialmente fra i giovani, che favorisce il reclutamento da parte delle organizzazioni terroristiche.
Ma la violenza della reazione militare ordinata dal primo ministro (e non contrastata da Washington) in risposta al lancio di razzi contro la città israeliana di Shderot, nonostante lordine di Mahmud al Zahar (capo di Hamas a Gaza) di rispettare la tregua, viene vista e denunciata dallAutorità palestinese come una continuazione della «campagna elettorale» di Sharon allinterno del suo partito.