Il vecchio Hockney rinnova la tradizione con i quadri su iPad

Il vecchio Hockney rinnova la tradizione con i quadri su iPad

da Londra

L’arte sta diventando come il rock, un mondo in cui un arzillo vecchietto rischia di essere ben più trasgressivo e irriverente di un giovane emergente o di un blockbuster all’ennesimo prodotto patinato. Così il 74enne David Hockney è tornato prepotentemente alla ribalta e all’altare delle cronache sia per la grande mostra appena inaugurata alla Royal Academy of Arts di Londra, sia per la polemica incrociata con Damien Hirst, che dal punto di vista anagrafico potrebbe tranquillamente essere suo allievo. Il dibattito, aspro e divertente, si è animato soprattutto sulla questione del «fatto a mano».
Secondo l’anziano pittore, infatti, è impensabile che un artista deleghi la completa realizzazione della propria opera a una équipe di assistenti e tecnici. Rifacendosi alla tradizione delle Arts&Crafts inglesi, che considerano l’abilità dell’artigiano almeno paritetica all’invenzione dell’artista, Hockney sottolinea con provocatorie didascalie poste sotto ciascuna opera presente in mostra che si tratta del frutto di un lavoro manuale, eseguito personalmente da lui. Tutto questo mentre Damien Hirst propone, nelle undici sedi della galleria Gagosian (compresa Londra) 400 dei suoi celebri Dots Paintings, trionfo della ripetizione meccanica affidata ai collaboratori perché, ribadisce Hirst, non avrebbe avuto né tempo né voglia di dipingerli uno per uno.
Eccoci dunque per l’ennesima volta di fronte a due opposte scuole di pensiero con relativi schieramenti partigiani, quasi a ripercorrere la polemica della scorsa estate sollevata da Jean Clair a proposito del contenuto dell’opera contemporanea. Dibattito che in Inghilterra ha coinvolto anche il ruolo delle scuole d’arte, dove da tempo si privilegia l’approccio mentale e concettuale. Hockney però sostiene che si può insegnare l’arte, non la poesia: «per dipingere hai bisogno di occhi, mani e cuore. Due cose sole non bastano», e proprio di assenza di emotività accusa i big di oggi, impazienti più che altro di fare soldi.
Detta così sembra il tipico attacco sollevato dal solito vecchio trombone che non riesce più a stare al passo con i tempi e si macera nell’invidia. Niente affatto, perché A Bigger Picture, questo il titolo della grande antologica che da Londra si sposterà al Guggenheim Bilbao e al Ludwig Museum di Colonia, è incentrata su un’assoluta novità che vede Hockney primo ai nastri di partenza, nonostante la considerevole età. I suoi ultimi lavori sono stati realizzati su iPad: un uso niente affatto anonimo e disumano della tecnologia, ma anzi la possibilità di tenere strettamente sotto controllo la composizione e l’equilibrio cromatico, con l’applicazione Brushes che costa solo 8 sterline, acquistabile su Apple Store, e che consente di dipingere con le dita sul tablet. Operazione che lo diverte molto e che lo tiene molto impegnato nelle sue personalissime creazioni a differenza di Hirst (sono ovviamente sue opinioni) che non ha inventato niente.
Hockney, che dice di aver ereditato la passione della tecnologia dal padre, ha sempre avuto due anime opposte e contraddittorie. A guardare i suoi dipinti non si può fare a meno di considerarlo un pittore piuttosto tradizionale, addirittura stucchevole, come un impressionista di fine ’900 che riscopra la magia del colore e il dipingere en-plein-air. Eppure la sua carriera è costellata di episodi trasgressivi, a cominciare da quello che si può ritenere il capolavoro degli esordi, I’m in the mood for love del 1961, una delle prime opere dichiaratamente gay in tempi in cui la liberazione sessuale era ancora lontana. Quando esplode la Swinging London e i suoi colleghi Peter Blake e Richard Hamilton creano quel cortocircuito che li porta a collaborare con i Beatles, Hockney abbandona l’Inghilterra e se ne va in California, scegliendo la strada di una pittura figurativa elegante e decisamente redditizia. Le sue ville con piscina, con bei ragazzi sdraiati nudi a prendere il sole, diventano il simbolo dell’upper class omosessuale. Quadri, quelli dei tardi anni ’60, che hanno raggiunto prezzi d’asta dal milione e mezzo di sterline ai quasi 6 milioni di dollari per Beverly Hills housewife (1967), record assoluto per l’autore.


Dietro l’eleganza da vecchio Lord si cela a stento il carattere bizzoso che lo porta a polemizzare con tutti, soprattutto contro le campagne antifumo. Ma sia lui che Hirst sono sicuri protagonisti dell’arte inglese e infatti all’antologica di Hockney seguirà, come in un’ideale staffetta, la prima retrospettiva di Damien alla Tate Modern programmata dal 5 aprile.

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