VEDOVA L’autodidatta concretamente astratto

Massimo Cacciari: «Scompare l’amico, un padre, un maestro». Galan: «Abbiamo perso il Tintoretto delle avanguardie»

Tutte le biografie che ne illustrano il percorso artistico e di uomo portano all’inizio quella parola, «autodidatta», che assume oggi, dopo la sua morte, il sapore di una firma, di un tratto distintivo, di un destino, forse. Emilio Vedova era nato a Venezia il 9 agosto del 1919. E le sue prime opere compiute datano già al 1935. Negli anni della guerra, poi, egli aderì al movimento di «Corrente», e prese parte alla Resistenza. Nella seconda metà degli anni Quaranta fu tra i protagonisti delle più vive aggregazioni artistiche, dalla «Nuova secessione italiana» a «Oltre Guernica», dal «Nuovo fronte delle arti» al «Gruppo degli Otto», opponendosi con forza al neorealismo.
Come si vede, un attivismo frenetico, nella ricerca continua di fare gruppo, di condividere l’esperienza artistica, in una «lettura» dell’arte non come portato individuale ma come collante fra le varie esperienze. Negli anni Cinquanta, Vedova realizzò cicli celebri come Scontro di situazioni, Ciclo della protesta, Immagine del tempo che lo collocano tra i massimi esponenti europei dell’informale. Al 1961 data l’inizio di una collaborazione importante, quella con Luigi Nono, che conduce alla messinscena di Intolleranza ’60. Tra la fine del 1963 e la metà del 1965 realizzò a Berlino i grandi «plurimi» Absurdes Berliner Tagebuch, esposti a «Documenta» di Kassel nel 1964. Dal 1965 al 1967 Vedova lavorò al grande Spazio-plurimo-luce, esposto al padiglione italiano all’Expo di Montréal, un’autentica installazione «totale».
Non manca, nel curriculum dell’artista veneziano, l’insegnamento: dal 1965 insegnò infatti alla Internationale Sommerakademie di Salisburgo, ereditando quindi la responsabilità che era stata di Kokoschka. E ancora, dal 1975 al 1985 fu docente all’Accademia di belle arti di Venezia. Nel 1976 ebbe inizio il ciclo dei Plurimi binari.
Negli anni Ottanta, Vedova si impose all’attenzione mondiale a seguito delle prime grandi mostre antologiche: nel 1981 a San Marino, nel 1982 al Van Abbe Museum di Eindhoven, nel 1984 a Venezia, nel 1986 alla Staatsgalerie Moderner Kunst di Monaco. Alla fine del decennio nacque il ciclo Per uno spazio, cui seguirono cicli come le Partiture e nuove serie di opere grafiche, che confermano la lunga consuetudine, anche sperimentale, dell’artista con l’incisione.
Proveniente da una famiglia operaia, Emilio Vedova non soltanto fu autodidatta in campo artistico. Fu anche, fin da subito, un ragazzo intraprendente, che lavorò in fabbrica, come garzone di un fotografo e di un restauratore, prima di gettarsi nel disegno e nella pittura. Ed è in fondo quel ragazzo che ora, in qualche modo riemerge nelle parole di chi lo ha conosciuto e apprezzato. «Per me - ha detto Massimo Cacciari, sindaco della sua Venezia - scompare l’amico, un padre, un maestro. Scompare con lui una grande figura della pittura e della cultura italiana dell’ultimo secolo. Un grandissimo pittore di Venezia, veneziano in ogni fibra della sua arte, in ogni tratto del suo segno, in ogni atomo del suo colore».


Per parte sua Giancarlo Galan, governatore del Veneto, ha sottolineato le radici profonde dell’arte di Vedova: «Dal passato del secolo scorso - ha detto - il secolo delle grandi avanguardie, è giunta fino a noi la lacerante e vitale azione pittorica proposta da Vedova, che lascia al nuovo secolo una lezione che ha ridato grandezza, in un momento di crisi dell’arte, alla pittura europea e mondiale». E, con suggestiva immagine e ardito accostamento, Galan ricorda Vedova come «Tintoretto delle avanguardie».

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