da Roma
«Wait and see», ripetono a Palazzo Chigi. La partita centrale della politica italiana, quella sulla legge elettorale, da cui dipendono anche le sorti del governo Prodi, è ancora tutta da giocare.
Di certo, la clamorosa defezione di Fini ha dato un colpo al fronte che solo qualche giorno fa sembrava più forte, quello guidato da Veltroni e Berlusconi. Il sindaco di Roma reagisce con durezza: «Stiamo imboccando la strada dei particolarismi, ognuno vuole avere garanzie per il suo ruolo, anche sproporzionato rispetto al peso che ha. È la democrazia dei veti». Un monito indirizzato a Fini, ma forse anche a Prodi e ai «cespugli» alleati.
Non è un caso se il premier ieri faceva sapere che il vertice di maggioranza «per ora» non è fissato. Ora che il leader di An ha dichiarato guerra al Vassallum di Veltroni e Berlusconi («Dopo le mie parole mi sembra archiviato»), per il premier diventa meno urgente assumersi lonere di scendere in campo. Quel vertice, nel quale contava di coalizzare contro il segretario del Pd tutti i partiti minori dellUnione, nonché la componente filo-maggioritaria che fa capo a Parisi, diventa meno necessario: la sponda per bloccare lasse Walter-Silvio gli è stata offerta dallesterno.
Ovvio che quella tra Prodi e Fini sia unalleanza contingente, ma linteresse comune è solido: la difesa di quello che il capogruppo Prc Migliore bolla come «bipolarismo coatto», che mantiene in vita i singoli partiti costringendoli a composite alleanze forzose per battere lo schieramento avversario. Esattamente la gabbia che Pd e Forza Italia si propongono di rompere con il Vassallum, che premia non le coalizioni ma i partiti principali, spazzando via le forze minori.
In casa veltroniana sono infuriati con Fini. Anche perché fino a una settimana fa veniva considerato un possibile alleato: gli sherpa finiani si erano fatti spiegare da Salvatore Vassallo il suo sistema, e sembravano interessati. Lo fa capire lo stesso professore, quando sul Corriere scrive: «Non escluderei che Fini abbia addirittura considerato lipotesi di sostenere il modello ispano-tedesco». Poi però ha cambiato idea. E a fargliela mutare è stata «linattesa vitalità di Berlusconi». Tradotto: il capo di An ha capito, sondaggi alla mano, che quel 12% di voti su cui pensava di poter contare anche con il Vassallum, rendendolo alleato indispensabile di Fi, rischia di venire abbondantemente drenato dal Cavaliere. Perché, spiega il senatore Pd Polito, «col Vassallum conta chi ha i voti veri: la campagna elettorale si giocherà tutta su due protagonisti, Pd e Fi. E Fini si mette di traverso per costringere Berlusconi a qualunque altra legge, a cominciare da quella prodotta dal referendum, che gli consenta di tornare suo alleato indispensabile. Specularmente, è la stessa posizione dei prodiani, che possono contare solo dentro una coalizione».
A questo punto, ragionano nel Pd, per Veltroni e Berlusconi diventa difficile giocare «soli contro tutti». Anche perché lo stop impresso da Fini sta ridando fiato ai sostenitori del sistema tedesco: Casini da un lato, dallaltro DAlema e Rutelli, che ha subito avvertito: «La riforma non devono farla solo il Pd e Berlusconi, sarebbe come prefigurare un governo istituzionale tra noi e Fi». Lo stesso Prodi, nellincontro col cardinal Bertone, si è detto non ostile a un modello che «garantisce il bipolarismo» e quel centro cattolico che sta a cuore ai vescovi.
Ma «piuttosto che il tedesco è meglio il referendum», minaccia il veltroniano Ceccanti. Secondo il quale il leader Pd (e con lui Berlusconi) non accetterà mai il sistema sponsorizzato da Rutelli e DAlema. Ed è pronto a mettere sul piatto il suo stesso ruolo per impedirlo: «Il Pd non può andare contro il suo segretario», a meno che non lo si voglia delegittimare.
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