Veltroni con l’acqua alla gola prova a salvarsi a spese del Prof

da Roma

Il dito nella piaga lo mette Giovanni Russo Spena di Rifondazione. Che, a 24 ore dalla convocazione del Consiglio dei ministri straordinario, e dal varo del decreto anti-romeni, confida la propria «sgradevole sensazione» che il centrosinistra abbia ormai «un premier ombra», Walter Veltroni. E se la situazione fosse questa, aggiunge, «per Prodi sarebbe una rovina».
Non c’è dubbio che mercoledì sia stato il nuovo capo del Partito democratico a dettare l’agenda del governo. Serviva un gesto esemplare, serviva subito. E serviva soprattutto a Veltroni, che in una delle giornate peggiori della sua carriera politica si trovava a fronteggiare un crescendo di polemiche e di virulenti attacchi politici sul tema che più fa saltare i nervi alla pubblica opinione, quello della sicurezza. Rischiava di veder implodere in poche ore quel «modello Roma» che dal 2001 è uno dei miti fondativi della popolarità veltroniana, e di ritrovarsi sul banco degli imputati per quel delicato «doppio incarico» di sindaco e leader che si è accollato.
Sa bene, il sindaco, che quel doppio incarico è un suo tallone d’Achille, su cui l’opposizione non gli darà tregua nei prossimi mesi.
Veltroni si è mosso con la consueta rapidità di riflessi: a poche ore dall’aggressione di Tor di Quinto ha convocato i giornalisti e chiesto una «iniziativa straordinaria e d’urgenza in materia di sicurezza». Senza risparmiare colpi bassi allo stesso governo Prodi, che, come quello di Berlusconi, «non ha fatto nulla» per controllare l’accesso di romeni in Italia. Ha chiamato a raccolta tutti i colleghi sindaci, che come lui si trovano a fronteggiare l’emergenza sicurezza. Ha trovato una solida sponda nel ministro degli Interni Amato, che insieme a lui ha fatto pressione sul premier illustrandogli con toni allarmati la necessità di «un intervento forte» e ad horas. Ma tutto il centrosinistra, in poche ore, ha fatto muro attorno al suo «premier ombra», a difesa dell’unica carta che di qui a qualche mese potrebbe doversi giocare contro il centrodestra.
Prodi era perplesso, dubbioso: il governo aveva varato appena il giorno prima il pacchetto sicurezza, e trasformare ora uno dei suoi punti in decreto legge poteva apparire come l’ammissione di aver sbagliato. E di aver reagito solo davanti all’emergenza, per decisione non sua ma di Veltroni. Che nel governo non c’è, anche se «mercoledì sera mancava solo che si sedesse a capotavola a Palazzo Chigi», come ironizza uno dei ministri che a quel tavolo c’erano.
Senza contare il timore di Prodi per le resistenze della sinistra, che martedì si era astenuta sui ddl e aveva opposto una fierissima resistenza all’idea che fossero trasformati in decreto, come caldeggiato da alcuni ministri. Una nuova astensione, in un frangente così drammatico, avrebbe messo il governo davanti al rischio della delegittimazione, se non della crisi. Ma ci ha pensato Fausto Bertinotti a dare via libera, assicurando la collaborazione della sinistra. «Di fronte a una situazione del genere, non si poteva incrinare l’unanimità del governo», ha spiegato il ministro Prc Ferrero davanti alle perplessità dei compagni di partito.


Il decreto è stato varato, e - anche se, come fa notare Russo Spena, resterà probabilmente lettera morta perché tra Finanziaria, welfare e altre urgenze «non credo che ci saranno i tempi per la conversione, quindi qualcuno ha fatto male i conti» - Veltroni è riuscito a intestarsene il copyright.

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